[…le imprudenti ma illegittime iniziative di una società di gestione di farmacie comunali]
Queste note prendono le mosse da una vicenda che ci pare valga la pena raccontare se non altro per alcuni aspetti [verosimilmente] di interesse generale che la caratterizzano.
- Il fatto
In una frazione molto estesa di un comune laziale viene istituita a seguito della revisione straordinaria della p.o. del 2012 una seconda sede cui viene assegnata una porzione territoriale fino ad allora, evidentemente, di pertinenza dell’unica sede preesistente nella frazione.
Quest’ultima era stata a suo tempo prelazionata dal Comune che però – optando per la soluzione più remunerativa per le proprie casse, come continuano ampiamente a certificare le analoghe scelte di numerose altre farmacie comunali – era stata poi conferita in una società di capitali interamente partecipata dal Comune [e che già gestiva un’altra farmacia di cui l’ente era pure titolare] il quale, con il rispetto delle regole di evidenza pubblica, aveva successivamente ritenuto di aggiudicare/cedere una frazione del capitale pari al 49% dell’intero a soggetti privati che, come del resto è dato spesso vedere, hanno poi assunto l’effettiva gestione della società.
Ed è agevole comprendere come l’apertura nella frazione di questa seconda farmacia da parte dei suoi vincitori per concorso – pur perfezionatasi solo di recente e perciò dopo molti anni dall’istituzione della sede – abbia finito per incidere in termini consistenti sul volume di affari dell’altro esercizio.
- La farmacia comunale vorrebbe aprire una “sanitaria”…
Di qui il tentativo della farmacia comunale di fronteggiare in un modo qualunque questa parziale caduta dei ricavi con l’apertura [per il momento solo annunciata] di una “sanitaria”/parafarmacia ad alcuni chilometri di distanza dalla farmacia e addirittura all’interno della seconda sede.
Un’iniziativa imprudente, pure se assunta puntando forse sulla forza anche politica del socio di maggioranza, ma sicuramente illegittima perché in contrasto solare con la norma imperativa di cui al primo periodo del comma 2 dell’art. 7 della l. 362/91, per il quale “le società di cui al comma 1 [cioè “le società di persone, le società di capitali e le società cooperative a responsabilità limitata”] hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia”, una disposizione integralmente sopravvissuta sia al c.d. Decreto Bersani del 2006 [dl. 223/2006 conv. l. 248/2006] che alla l. 4/8/2017 n. 124.
E’ quindi tuttora operante il divieto per le società, di persone o di capitali, titolari o gestori di una o più farmacie – private o pubbliche [l’equiparabilità delle une alle altre è stata infatti a suo tempo sancita dalla Corte Costituzionale n. 275 del 2003] – di svolgere qualsiasi attività diversa da quella che inerisce all’esercizio di una o più farmacie di cui detengano la titolarità o, come in questo caso, la mera gestione, quel che ha peraltro ribadito Tar Lombardia-Brescia n. 84/2012 e da ultimo, con alcune ulteriori e decisive notazioni, anche Tar Umbria 78/2018.
Per di più, l’illiceità di questa ipotetica ulteriore attività commerciale si tradurrebbe in quanto tale in una condotta indubitabilmente configurabile come concorrenza sleale [con quel che ne conseguirebbe sul piano civilistico] sia per l’oggettiva situazione di concorrenzialità tra le due farmacie – nella specie accentuata anche dall’ubicazione della preannunciata “sanitaria”/parafarmacia non solo all’interno della seconda sede ma perfino a ridosso dei locali in cui viene esercitata la nuova farmacia – e sia per la comunanza dell’ambito territoriale di operatività e per ciò stesso della clientela.
- …nella quale anzi avrebbe intenzione di eseguire test, tamponi & C.
Da un comunicato stampa del Comune, che pertanto decide di entrare in questa vicenda in prima persona, sembrerebbe infatti che la farmacia comunale abbia/avesse progettato di organizzare il servizio di tamponi rapidi per l’identificazione del Covid-19 [e, perché no?, anche quello di test sierologici, dato che anch’essi sono oggetto dell’Accordo intervenuto tra la Regione Lazio e l’Associazione di categoria delle farmacie convenzionate] esattamente in quei locali dove, come abbiamo visto, è stata espressa l’intenzione di avviare ed esercitare una “sanitaria”/parafarmacia.
Siamo dunque alla questione centrale di queste note e alla domanda se per l’esecuzione dei test/tamponi previsti nell’accordo laziale sia consentito alla farmacia utilizzare, ad esempio, un locale [o anche un semplice appartamento…] con ingresso ben distinto e/o con altro numero civico, quindi in ogni caso perfettamente estraneo ai locali dove la farmacia è esercitata.
Senonché, l’accordo laziale [al quale naturalmente dobbiamo qui fare esclusivo riferimento] prevede espressamente che tali servizi possano/debbano essere svolti (su prenotazione) – dalla singola farmacia aderente “su base volontaria” all’accordo – “all’interno della farmacia in spazio dedicato (e) separato da quelli destinati all’accoglienza dell’utenza e alla vendita” oppure, “se la farmacia è sprovvista di un ambiente dedicato”, sempre all’interno della farmacia ma “durante l’orario di chiusura” dell’esercizio.
“In alternativa” alle due modalità ora indicate – e ferma la facoltà della farmacia di organizzare un servizio domiciliare – i test e tamponi, precisa ulteriormente l’accordo, potranno essere eseguiti “in ambiente esterno e adiacente alla farmacia [N.B. per la verità, l’accordo esprime poco dopo lo stesso concetto, ma il prodotto non cambia di una virgola, così: “…all’aperto in area limitrofa alla farmacia…”] anche su suolo pubblico (esempio gazebo, camper ecc.), con modalità di esecuzione che garantiscano ecc.”.
È chiaro dunque anche ai meno esperti di notazioni e/o terminologie burocratiche e/o giuridiche che almeno nel Lazio i tamponi rapidi, sierologici e antigenici, non possono essere effettuati dalle farmacie in strutture esterne non adiacenti alle farmacie stesse o addirittura in locali diversi da quelli in cui la singola farmacia è esercitata e – meno che mai – in un locale ubicato a chilometri di distanza da quello della farmacia aderente all’accordo e per di più al di fuori della sede farmaceutica cui essa afferisce.
- Interviene la Asl
Coinvolta da un paio di diffide della farmacia di nuova apertura, è però intervenuta con prontezza la Asl competente che, richiamando anch’essa quei passaggi dell’accordo laziale, ha invitato la farmacia comunale a “dare formale assicurazione …. tale da escludere presunte iniziative adottate in difformità” all’accordo stesso.
E’ un intervento [tra i tanti che le Asl tendono meritoriamente a effettuare con frequenza sempre maggiore] che deve aver sortito i suoi effetti dato che i tamponi nel frattempo prenotati dalla clientela sono stati eseguiti – sia pure non rispettando pienamente le altre prescrizioni dell’accordo circa le modalità di svolgimento, gli operatori sanitari utilizzati, la sanificazione degli ambienti e la sicurezza di clienti e lavoratori – nei locali della farmacia comunale.
Può darsi, in definitiva, che la questione si sia chiusa lì.
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Come abbiamo visto, il servizio – “in un’ottica di prossimità e nell’ambito della farmacia dei servizi”, come premette l’accordo – nel Lazio è già decollato e, a quanto pare, con un certo successo presso l’utenza e questo dovrebbe essere considerato con giusto favore dalle farmacie perché è ragionevole pensare che l’idea possa essere estesa ad altri servizi, e non soltanto alle vaccinazioni che sembra un fatto ormai scontato.
Piuttosto, il problema vero è che non c’è, o non c’è ancora una normativa statale che regoli la vicenda tamponi/test in termini univoci e soprattutto omogenei, cosicché dobbiamo fare i conti in questo momento con discipline regionali variegate che, anche se in gran parte ispirate all’accordo laziale, si diversificano tra loro per qualche aspetto talora importante.
Ad esempio, pensando proprio al tema di oggi, le disposizioni campane – che per il resto replicano sostanzialmente quelle laziali – ampliano in modo rilevante le alternative cui le farmacie aderenti possono ricorrere quando ritengano di eseguire il servizio “in ambiente esterno e adiacente alla farmacia”, perché alle modalità di esecuzione previste anche nell’accordo laziale aggiungono inopinatamente anche un “apposito locale, compreso nel perimetro della pianta organica della farmacia e possibilmente nelle sue adiacenze, a distanza non inferiore a 200 metri da altra farmacia esistente”.
Quindi, la Campania risponde all’interrogativo del titolo in termini francamente discutibili [tenendo per di più presente che anche i “nuovi servizi” introdotti nel 2009 rimasti per il momento sulla carta, quando non siano espressamente o implicitamente indicati come “domiciliari”, possono essere erogati soltanto “presso le farmacie”] per quel che può derivarne nei rapporti tra le farmacie e in ogni caso, come si è detto, ben diversamente dal Lazio e tutto sommato anche dalla Lombardia, anche se quest’ultima contempla – quale luogo di esecuzione dei test e tamponi [aggiungendo da par suo pure i molecolari] – anche “il dispensario” [e questo può andar bene] e la “sede data dal comune”, eventualità questa che invece può forse dare più problemi che soluzioni.
Senza comunque intrattenervi ulteriormente sull’analisi delle singole disposizioni regionali, preferiamo concludere auspicando che l’emendamento di Andrea Mandelli al DDL Bilancio 2021 [che prevede una disciplina statale e quindi uniforme circa le modalità di erogazione di questi servizi], per il momento accantonato, possa essere al più presto reintrodotto in altro provvedimento e ovviamente approvato.
E questo vale per i test e i tamponi, come per gli altri “nuovi servizi” che potranno anch’essi vedere le farmacie in prima linea.
(gustavo bacigalupo)
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Naturalmente, auguri di buon Natale a tutti
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