[…che le ha poi distribuite alle farmacie associate]
Come amministratore di una società di servizi partecipata da una associazione sindacale, ho acquistato un notevole numero di mascherine direttamente dalla Cina, perché si trattava naturalmente di rifornire in tempi brevi le farmacie associate che erano allora in grave difficoltà nell’approvvigionarsene mediante i canali abituali.
Vorrei conoscere quali sono le diversità tra la mia posizione e quella delle farmacie che hanno effettuato le stesse operazioni, ma che – come avete riferito nella Sediva News del 30/09/2020 – hanno visto archiviati i procedimenti penali avviati contro di loro.
E quindi vorrei in pratica sapere se rischio il rinvio a giudizio o se magari non avrei dovuto neppure essere indagato.
In realtà era inevitabile che, quale rappresentante della società di servizi, Lei restasse coinvolto in questa vicenda.
Ma non c’è dubbio che l’importazione diretta dalla Cina di mascherine da distribuire successivamente tra le farmacie associate [che è esattamente la condotta imputabile alla società e quindi a Lei nella Sua qualità] non avrebbe potuto che porre, come in effetti sta ponendo, problemi ben diversi da quelli cui invece sono andati incontro – anche se fortunatamente, come abbiamo visto, senza grandi conseguenze – i singoli farmacisti nel momento in cui hanno acquistato da un fornitore [come, nella fattispecie, proprio la Sua società] mascherine solo apparentemente dotate della Certificazione Europea.
E, volendo evidentemente restare nel Suo caso specifico, bisogna guardare dapprima ai materiali importati/importabili [quindi anche alle procedure doganali da osservare], poi soffermarsi sugli incombenti necessari per la loro commercializzazione e tentare infine di trarre qualche conclusione.
Ora, dato che qui i materiali sono mascherine, è bene ricordare una volta di più – a quei pochi che potessero avere ancora qualche dubbio – che vanno distinte in tre categorie:
- Dispositivi Medici (le c.d. “mascherine chirurgiche”) o DM;
- Dispositivi di Protezione Individuale o DPI (FFP2 e FFP3);
- Mascherine Generiche (o “filtranti”) che, pur sembrando generalmente “mascherine chirurgiche”/DM, nella realtà non sono né testate né certificate.
1) Quando allora si scelga di importare Dispositivi Medici, bisogna ragionevolmente tener conto in prima battuta:
A) se il marchio è presente e valido, essendo in tal caso il dispositivo sdoganabile immediatamente (“mascherine chirurgiche”);
B) oppure, se il marchio non è invece presente e/o non è valido, occorrendo in questa seconda evenienza inviare apposita autocertificazione all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in conformità all’art. 15, comma 2 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, e attenderne di conseguenza la pronuncia per immetterle in commercio; in tale seconda ipotesi il prodotto finisce perciò per poter essere soltanto “sdoganato condizionatamente”, con il rispetto cioè delle eventuali prescrizioni e dell’obbligo di tracciabilità, fermo comunque il divieto di metterlo in commercio anteriormente al rilascio delle autorizzazioni; e, se il prodotto non ottiene la certificazione, viene declassato a mascherina generica ma, ove non possa essere “rietichettato” come tale [perché ad esempio il finto marchio CE è impresso sul tessuto e non sulla confezione…], viene/deve essere distrutto.
Sempre con riguardo ai DM senza marchio o con marchio non valido, inoltre, è utilizzabile la procedura di svincolo diretto se il destinatario finale rientra tra quelli previsti dall’Ordinanza 6/2020 del Commissario straordinario, e cioè:
– regioni e province autonome;
– enti territoriali locali;
– pubbliche amministrazioni;
– strutture pubbliche ovvero private accreditate e/o inserite nella rete regionale dell’emergenza (anche unità pronto soccorso per le proprie necessità);
– soggetti che esercitano servizi pubblici essenziali di pubblica utilità e/o di interesse pubblico individuati dal DPCM 10/4/2020: tra questi dovrebbe rientrare anche la società di servizi da Lei rappresentata che pertanto avrebbe potuto probabilmente avvalersi o tentare di avvalersi dell’iter previsto per lo svincolo diretto, quel che però non sembra sia avvenuto.
2) Passando ai Dispositivi di Protezione Individuale, le eventualità sono le stesse salvo che per essi l’ente “validatore” non è l’ISS ma l’INAIL, e inoltre – si badi bene – per i DPI non è configurabile lo “svincolo diretto” di cui si è appena detto a proposito dei DM, e pertanto non possono essere importati in deroga alle vigenti disposizioni sulla produzione e messa in commercio.
3) Quanto, da ultimo, alle Mascherine Generiche, per queste si deve considerare che possono essere sdoganate solo quando soddisfino le condizioni di produzione e messa in commercio richiamate infine nella Circolare MISE 107886 del 23 aprile 2020, e pertanto:
a) non devono recare la marcatura CE;
b) le relative confezioni devono indicare espressamente che non si tratta di un Dispositivo Medico (DM) o Dispositivo di Protezione Individuale (DPI);
c) vanno accompagnate da una avvertenza che indichi chiaramente, da un lato, che non garantiscono in alcun modo la protezione delle vie respiratorie di chi le indossa e che, dall’altro, non sono utilizzabili quando sia prescritto l’uso di DM o DPI (per uso sanitario o sui luoghi di lavoro), bensì, ad esempio, quando sia ritenuta comunque utile la copertura di naso e bocca a fini igienico-ambientali e/o per uso della collettività;
d) infine il produttore deve dichiarare che tali dispositivi generici non arrecano danni e non determinano rischi aggiuntivi per gli utilizzatori, secondo la destinazione del prodotto.
Nel caso in cui queste condizioni non siano soddisfatte, il prodotto – qualora sia possibile rietichettarlo – può essere solo “sdoganato condizionatamente” con prescrizioni di utilizzo e l’obbligo di tracciabilità, e fermo l’impegno a non metterlo in commercio prima di aver sostituito le etichette non a norma con quelle a norma.
Secondo queste sommarie indicazioni, quindi, dato che le mascherine importate dalla Sua società dovrebbero essere quelle definibili DM se non anche DPI, è difficile contestare che – una volta ottenuto lo sdoganamento – la loro commercializzazione era subordinata alla preventiva validazione da parte dell’ISS o dell’INAIL che, ricorderete, in ragione dell’emergenza epidemiologica il Cura Italia “chiamò” temporaneamente a “surrogare” l’attività degli Enti certificatori, cioè dei soli soggetti istituzionalmente demandati al rilascio delle Certificazioni Europee.
Quindi, per concludere, non sembra certo campato in aria il dubbio che, laddove la distribuzione delle mascherine senza la preventiva loro validazione fosse stata comunque anche solo in parte effettuata [come parrebbe qui essere avvenuto], il legale rappresentante della società possa essere indagato per il reato di frode in commercio, perché – proprio in mancanza del presupposto della validazione prescritto nel provvedimento – le mascherine finirebbero per essere state nel concreto consegnate in confezioni tali da trarre in inganno le farmacie.
Del resto, come forse avrete colto dalle stesse nostre precedenti notazioni sull’argomento, anche per la giurisprudenza di merito gli importatori [la vs. società di servizi, in questo caso] devono assicurare che i prodotti che immettono sul mercato rispettino i requisiti prescritti oltre, s’intende, a non presentare alcun rischio per i consumatori (europei), cosicché è fatto loro obbligo di verificare che il produttore extra‑UE abbia adottato tutte le misure necessarie e che su richiesta la relativa documentazione sia sempre disponibile.
Da parte loro, i distributori hanno l’onere di disporre di una conoscenza di base dei requisiti giuridici dei prodotti così da poter essere in grado anche di individuare quelli non conformi [specie laddove la difformità sia palese…], dovendo in caso contrario risponderne sotto i vari aspetti in tutte le sedi competenti.
Inoltre, devono poter dimostrare alle autorità nazionali che hanno agito con la dovuta diligenza e che, ad esempio, hanno ricevuto la conferma – da parte del produttore e/o dell’importatore – che sono state adottate le misure necessarie.
Anche alla luce perciò di queste rapide considerazioni, la Sua iscrizione nel registro degli indagati – verosimilmente a questo punto quasi ineludibile – non vuol dire affatto, di per sé, un Suo rinvio a giudizio e neppure la rilevabilità a Suo carico di irrimediabili carenze sul piano difensivo, perché anzi in questa particolare vicenda i profili da prendere in adeguata considerazione sono tali, specie per quel che attiene all’elemento c.d. psicologico del reato [cioè il dolo], da rendere non facilmente configurabili tutti i presupposti per un giudizio di colpevolezza.
Il dolo richiesto dal legislatore, giova precisarlo, è però quello c.d. generico – quello che d’altronde caratterizza la gran parte degli illeciti – e pertanto si richiede non la consapevolezza dell’agente/indagato/incolpato di perseguire un fine specifico, ma la sua mera consapevolezza di consegnare un bene difforme rispetto a quello pattuito.
Infine, il delitto – perché tale naturalmente è la frode in commercio – si consuma nel momento e nel luogo in cui avviene la consegna della cosa o del documento che, secondo le norme civilistiche o gli usi commerciali, vale come consegna.
In definitiva, in ogni caso, non dovrebbe forse essere complicatissimo dimostrare con quale facilità la documentazione ricevuta dal venditore straniero, e finalizzata all’importazione, potesse trarre in inganno la Sua società di servizi, come allo stesso modo, peraltro, potrebbe rivelarsi nei fatti possibile anche convincere l’autorità giudiziaria che non vi fosse alcuna consapevolezza di commercializzare prodotti diversi da quelli descritti o addirittura nocivi per la salute pubblica.
(federico mongiello – gustavo bacigalupo)
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