La ns. snc è titolare di una farmacia da oltre dodici anni e per contratto dovrebbe scadere il 31.12.2023.
Da qualche tempo però uno dei soci è stato colpito da una malattia neurologica che va sempre più progredendo e ormai oggi lui non è in grado di svolgere nessuna attività lavorativa e tantomeno quella fondamentale di farmacista che, come noi, sarebbe tenuto a svolgere per contratto.
Ai suoi familiari è stato consigliato di far intervenire il Tribunale perché in queste condizioni potrebbe compromettere anche il patrimonio della famiglia che sembra nella gran parte intestato a lui e già da un po’ di tempo la pratica è stata avviata.
Ma per quanto riguarda gli altri soci, quali diritti e obblighi possono avere in questa situazione?
Come abbiamo letto, qui l’infermità di un socio concerne una società di “diritto comune”, cioè una società titolare di una farmacia non conseguita congiuntamente da più farmacisti a seguito di un concorso straordinario.
Si tratta però di situazioni che possono riguardare – come d’altra parte è capitato e sta capitando – anche uno dei covincitori in forma associata [non importa se titolari pro quota o meno] e anche prima o molto prima che scada il periodo indicato nel comma 7 dell’art. 11 del Crescitalia, che condiziona espressamente [la conservazione de] “la titolarità della farmacia assegnata” al “mantenimento della gestione associata da parte degli stessi vincitori, su base paritaria, per un periodo di tre anni, fatta salva la premorienza o sopravvenuta incapacità”.
Ma per semplicità espositiva presupporremo che anche in questa seconda ipotesi la patologia neurologica che ha colpito uno dei soci sia quella stessa descritta nel quesito, premettendo che la finalità di queste note è più che altro quella di indicare uno dei possibili percorsi in grado – soprattutto quando la sua area di operatività possa essere ragionevolmente ampliata in funzione delle singole situazioni – di fornire qualche utile indicazione in soccorso di quelle società (di persone o di capitali), titolari di una o più farmacie, che stanno vivendo in numero sempre più consistente momenti di crisi anche grave nei rapporti tra i soci.
Deve comunque restare ben fermo che quello dello scioglimento del singolo rapporto sociale [per morte, recesso o esclusione di un socio, che sono i tre casi tipicamente previsti e disciplinati, peraltro abbastanza laconicamente, dal codice] è un tema che non è sempre così lineare come forse potrebbe sembrare, talora anzi rivelandosi nel concreto abbastanza complesso e articolato, tanto più che su alcune delle numerose norme codicistiche applicabili persistono tuttora dubbi importanti anche in sede giurisprudenziale.
Scendiamo allora in una rapida analisi delle due ipotesi configurate, riportando dapprima le due disposizioni del codice civile che possono interessare più da vicino la peculiare fattispecie indicata nel titolo.
Art. 2286, comma 1, cod. civ.
L’esclusione di un socio può avere luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale, nonché per l’interdizione, l’inabilitazione del socio o per la sua condanna ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici.
Art. 2289, comma 1, cod. civ.
Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota.
- La grave malattia neurologica di un socio di una società di “diritto comune”
In questo caso il socio gravemente malato potrebbe invocare la sussistenza di una causa di recesso anticipato rispetto alla scadenza del rapporto/contratto sociale, quale che sia la disposizione statutaria – se ve ne è una – che regola l’ipotesi di recesso, tenendo infatti presente che neppure l’atto costitutivo potrebbe escludere la giusta causa tra le ragioni che giustificano il recesso di un socio perché probabilmente l’art. 2285 contiene per questo aspetto una norma imperativa, quindi non derogabile neppure dai soci.
Naturalmente, laddove quel socio con un provvedimento del Tribunale fosse interdetto, perché non più in grado di amministrare il suo patrimonio [incapacità c.d. assoluta: art. 414 c.c.], o inabilitato perché in uno stato non “talmente grave da far luogo all’interdizione” [incapacità c.d. relativa: art. 415 c.c.], dovrebbe essere il tutore nel primo caso e il curatore nel secondo a rappresentare o, rispettivamente, affiancare la persona giudizialmente interdetta o inabilitata nell’esercizio della facoltà di recesso.
Ma potrebbero essere anche gli altri soci ad agire per l’esclusione del socio dalla società, quando però il contratto sociale non disponga diversamente e in termini non equivoci [e questo forse potrebbe essere qui consentito] e/o tutti i soci non definiscano concordemente tra loro l’intera vicenda, quel che però richiederebbe l’intervento del tutore o del curatore se nel frattempo fosse intervenuto il provvedimento del Tribunale, ovvero del c.d. amministratore di sostegno se il giudice abbia ritenuto opportuno ricorrervi nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione.
Sarebbe tuttavia un’esclusione non tanto per inadempimento a un’obbligazione, quella prevista nel vs. atto costitutivo di svolgimento di prestazioni lavorative, quanto per una giusta causa di esclusione – diversa, beninteso, da quella che può giustificare il recesso – dato il ruolo indiscutibilmente rilevante e determinante che possono assumere in una società di persone vicende personali dei soci come quella di condizioni di salute che impediscono qualsiasi partecipazione personale alla società.
Certo, questa potrebbe essere un’iniziativa forse non facile da avviare [magari anche per i rapporti personali che alcuni anni fa vi hanno condotto a costituire tra voi una snc], senza contare che se il socio [o chi per lui] vi si oppone, gli altri soci dovranno ricorrere all’arbitrato, ove previsto per queste evenienze nell’atto costitutivo, o al Tribunale, con tutto quel che ne può derivare anche sul piano degli oneri da sostenere.
Indubbiamente, però, il disagio dell’eventuale continuazione della società fino alla scadenza naturale in una situazione così “sbilanciata”, tanto più tenendo conto che si tratta di una farmacia dove il contributo professionale dei soci può essere stato assunto sin dalla costituzione come essenziale per il funzionamento e la vita stessa del rapporto sociale, può suggerire di tentare almeno in prima battuta di convenire [ovviamente, ricorrendone i presupposti, anche con l’intervento del tutore o del curatore] la cessione in tempi brevi o la compromissione in vendita della quota agli altri soci.
Diversamente, si può pensare alla modifica dei patti sociali proprio in funzione del venir meno del contributo professionale del vs. collega, quindi con il verosimile accrescimento delle prestazioni degli altri anche con riguardo sia all’amministrazione della snc che alla direzione responsabile della farmacia sociale [in pratica potrebbero essere previsti per loro, per questo moltiplicarsi di incombenze, quantomeno compensi più elevati].
Ma anche se, come abbiamo visto, altri rimedi alla difficile situazione odierna – adeguati all’equo contemperamento dei reciproci interessi in gioco – possono pure essere astrattamente praticabili, nei fatti rischia di essere percorribile soprattutto l’extrema ratio dell’esclusione per giusta causa di cui si è detto.
Si può aggiungere che l’esclusione, come d’altronde anche il recesso, di un socio recano conseguenze non irrilevanti sul piano fiscale che oltretutto sono diverse se la liquidazione della quota del socio receduto o escluso [si tenga presente che il credito del socio con cui si scioglie il rapporto, o quello dei suoi eredi, è sempre un credito pecuniario, rappresentativo cioè del valore della quota] viene assunta dagli altri soci o dalla società come tale, e anzi sarà opportuno che anche questo profilo – quando possibile – venga lasciato per così dire “aperto” nell’atto costitutivo così da permettere di scegliere al momento opportuno l’una o l’altra soluzione.
- La grave malattia neurologica di un socio nel primo triennio di durata di una società tra i co-assegnatari per concorso di una sede
Qui non possono valere tutte le considerazioni appena svolte per l’altra ipotesi perché c’è evidentemente la spada di Damocle del triennio ancora in corso con il rischio di incappare nelle conseguenze che abbiamo visto all’inizio.
Non è rinvenibile infatti in questa evenienza il minimo spiraglio che consenta di approdare a una cessione tout court della quota del socio infermo né agli altri soci e men che meno a un terzo, ma è anche impercorribile [a meno che non si voglia affrontare le probabili ire di Asl & c…] sia il rimedio del recesso come quello dell’esclusione: e questo perché le sole eventualità che sicuramente permettono di conservare la titolarità della farmacia nonostante lo scioglimento nel corso del triennio del rapporto con uno dei soci/covincitori sono quelle della “premorienza” e della “sopravvenuta incapacità”.
E però, se escludiamo per ovvi motivi la “premorienza”, a noi pare – sempre ipotizzando anche in questo caso la fattispecie riferita nel quesito – che ricorrano i presupposti per lo scioglimento anticipato del rapporto con quel socio ove egli sia dichiarato [anche se non interdetto] inabilitato perché, come abbiamo visto, anche l’inabilitazione postula una incapacità, pur se relativa, quel che dovrebbe bastare per affermare l’applicabilità di una delle due condizioni legali per la conservazione de “la titolarità della farmacia assegna14ta” nonostante la cessazione della sua “gestione associata” da parte di tutti i co-vincitori prima del compimento del triennio.
Come dicevamo, però, il tema è molto ampio e variegato, che certo non si può affrontare in questa sede neppure con un minimo di esaustività.
Fermiamoci quindi a questi meri spunti di riflessione.
(gustavo bacigalupo)
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