Questo è stato infatti, e non crediamo per le sole vicende seguite dai ns. legali, l’esito delle “disavventure” patite dai farmacisti, troppo spesso – come ben sapete – oggetto di “attenzioni” davvero eccessive da parte degli organi di vigilanza e dell’autorità giudiziaria.
È stata accolta, in particolare, la tesi dell’assenza assoluta di qualunque consapevolezza – nei farmacisti “attenzionati” – di aver posto in vendita beni diversi da quelli nominalmente offerti in vendita.
In tutte queste vicende, del resto, nel momento in cui avvenivano le forniture di mascherine c.d. DPI, il farmacista non poteva far altro che affidarsi alle schede tecniche e alle certificazioni che il fornitore di volta in volta allegava senza l’obbligo di accertare ulteriormente la qualità del prodotto ricevuto.
Perciò, quello che viene definito l’elemento soggettivo del reato fin qui contestato [la frode in commercio, art. 515 c.p.], e che ha indotto gli organi inquirenti a disporre una serie di sequestri in alcuni casi talora molto consistenti, non poteva essere [escludendo, s’intende, eventuali fattispecie di tutt’altra fattura…] minimamente configurabile.
Di qui la richiesta di archiviazione, e anzi – se guardiamo bene – non sarebbe puramente fantasioso concludere che, ben diversamente, gli allora indagati dovessero in realtà ritenersi persone… offese del reato di truffa.
Ma forse tutto, o quasi tutto, è bene quando finisce bene…

(federico mongiello)

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