Vorrei inserire anche mia moglie nell’impresa familiare dove c’è già nostro figlio farmacista: nella realtà lei svolge qualche lavoro in farmacia ma temo che la sua attività professionale, che non è di farmacista, le impedisca di dedicarsi alla farmacia con la necessaria continuità.

Sulle modalità di esercizio dell’attività lavorativa del collaboratore all’interno dell’impresa familiare l’art 230- bis c.c. parla chiaro: è necessario che la sua collaborazione sia resa in modo continuativo, cioè con regolarità e sistematicità, e questo parrebbe escludere in radice la legittimità [sia ai fini civilistici che fiscali] della sua inclusione nell’i.f., tenuto conto che nel caso descritto il familiare presterebbe un’attività soltanto saltuaria od occasionale.
Nulla tuttavia dice la norma circa l’esclusività delle prestazioni di lavoro nell’i.f. da parte del familiare: potrebbe quindi rivelarsi possibile che Sua moglie assuma un impegno per così dire part time, fermo però – e qui il problema potrebbe almeno astrattamente diventare irrisolvibile – che la sua collaborazione nella farmacia deve risultare in linea generale prevalente rispetto a qualsiasi altra sua attività lavorativa, una condizione questa che, non dimentichiamolo, è richiesta anche dalla norma fiscale: cfr. art. 5, comma 4, D.P.R. 917/86).
È vero che nel concreto, come abbiamo osservato altre volte, sotto quest’ultimo punto di vista non constano importanti precedenti di segno negativo, soprattutto per la pressoché totale noncuranza con cui almeno sinora l’amministrazione finanziaria ha rovistato nei meandri più profondi dell’impresa familiare…
Ma questo di per sé non può incidere su un’analisi in termini corretti di vicende che – proprio come questa – sono peraltro tuttora frequentissime nonostante l’apertura delle società titolari di farmacie anche ai non farmacisti e l’assoggettamento alla contribuzione commercianti dell’Inps degli utili loro attribuiti.

(valerio salimbeni)

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