Il documento di trasporto (D.D.T.) è perfettamente idoneo in virtù del suo contenuto a superare le presunzioni ‑ posta dall’art. 53 del D.P.R. 633/72 – di cessione e/o di acquisto dei beni non rinvenuti/rinvenuti nei locali dell’impresa: lo ha ribadito la Suprema Corte con una recente pronuncia (Sez. V Ord. n. 639 del 22/09/2017) rigettando il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
In particolare, il Fisco aveva sostenuto che il D.D.T. non fosse idoneo al superamento della presunzione perché non ricompreso tra i documenti, a questo fine utilizzabili, indicati nel citato art. 53.
Gli Ermellini, di contro, hanno affermato che la disciplina del D.D.T. contenuta nel D.P.R. 441/97 – e in particolare l’art. 1, comma 5, per il quale “la consegna a terzi a titolo non traslativo della proprietà risulta in via alternativa: […] b) dal documento di trasporto previsto dall’art. 1, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 14 agosto 1996 n. 472, integrato con la relativa causale” – ha valenza integrativa e ricognitiva della disciplina in argomento, prima contenuta esclusivamente nel richiamato art. 53.
La Corte precisa altresì che il principio – per il quale il D.D.T., recante tutte le indicazioni previste dal decreto istitutivo (D.P.R. 472/96), costituisce valida documentazione del titolo non traslativo della proprietà – si deve “saldare” necessariamente con le regole poste dall’art. 53 della legge IVA al fine appunto del superamento della presunzione.
Così, per fare un esempio che ci riguarda da vicino ma che in sostanza è del tutto analogo al caso dedotto in quel giudizio, poniamo che una farmacia si accordi con una ditta produttrice di dispositivi medici affinché le venga riconosciuta una provvigione per ogni prodotto della ditta ceduto dalla farmacia ai suoi clienti.
Un rapporto del genere implica generalmente che i prodotti non siano acquistati e rivenduti dalla farmacia ma restino di proprietà della ditta e vengano consegnati alla farmacia soltanto in c/vendita; al momento della cessione al cliente, poi, sarà la ditta stessa a fatturare direttamente a costui e a incassarne il prezzo, mentre alla farmacia spetterà solo la provvigione.
Ebbene, la prova – valida, in caso di verifica, a superare la presunzione di acquisto a carico della farmacia dei prodotti detenuti – potrà essere validamente data proprio dai D.D.T. di consegna della ditta stessa recanti, beninteso, la causale “in c/vendita” ovvero in “c/visione” o simili.
Concludiamo con una nota di cronaca sicuramente istruttiva: per questa “corsa” in Cassazione – che francamente poteva risparmiarsi – l’Amministrazione finanziaria è stata condannata al pagamento delle spese processuali per ben 5.600 euro, e, possiamo garantirvelo, non è stata la prima volta e non sarà certo l’ultima.
(stefano lucidi)
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