Una recente ma ormai già famosa sentenza della Corte di Cassazione, la n. 22148 dell’8 maggio 2017, decidendo il caso di un’azienda che aveva installato un impianto di videoripresa con telecamere collegate alla rete wi-fi ritenendolo legittimo perché “suffragato” dal preventivo consenso dei lavoratori (che avevano per di più anche testimoniato di essere a conoscenza del sistema installato), ha affermato in termini non equivoci l’inderogabilità e/o insuperabilità dei principi stabiliti e/o ricavabili dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (l. n. 300/1970), il cui testo integrale è il seguente:
«1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196».
Lo Statuto dei Lavoratori, anche all’esito delle recenti modifiche introdotte con il c.d. Jobs Act (art. 23, d.lgs. n. 151/2016), parla dunque chiaro: il controllo a distanza dei lavoratori di fatto è sempre vietato, salvo che vi sia l’intesa con le parti sociali, ed è appunto quanto ora ribadito dalla Cassazione nella decisione appena citata, che quindi in realtà ribadisce un caposaldo della legge in materia di luoghi di lavoro che è quello del divieto – nonostante il consenso dei lavoratori – delle telecamere in azienda.
Di qui pertanto l’imprescindibilità di un accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali ovvero, in mancanza, dell’attivazione della procedura autorizzatoria presso l’ITL competente (Ispettorato Territoriale del Lavoro).
Il consenso anche se in forma scritta dei lavoratori, e perfino di tutti i lavoratori, non vale perciò, secondo la Corte, a sanare “la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni previste dalla legge”, perché l’iter autorizzativo previsto dalla legge deve in ogni caso essere rispettato, dal momento che l’accordo sindacale tutela interessi di carattere collettivo.
Inoltre, installare telecamere senza l’interlocuzione con le rappresentanze sindacali “produce l’oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici”, essendo queste deputate, tra l’altro, anche a riscontrare se gli impianti abbiano o meno caratteristiche lesive della dignità dei lavoratori per la loro potenzialità di controllo a distanza, e se siano rispettate le specifiche esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale previste dalla legge.
Il comportamento del datore di lavoro, conseguentemente, non integra solo una fattispecie di reato penale [art. 4 l. n. 300/1970, in relazione agli artt. 114 e 171 del d.lgs. n. 196/2003 e art. 38 l. n. 300/1970], pur se, lo ribadiamo, ha ottenuto l’autorizzazione scritta dai propri dipendenti”, ma anche di condotta antisindacale, censurabile con la procedura ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.
La Suprema Corte ha anche ricordato come lo stesso Garante per la protezione dei dati personali abbia “più volte ritenuto illecito il trattamento dei dati personali mediante sistemi di videosorveglianza, in assenza del rispetto delle garanzie di cui all’art. 4, comma 2, Stat. lav. e nonostante la sussistenza del consenso dei lavoratori” (relazione Garante per la protezione dei dati personali, per l’anno 2013, pubblicata nel 2014).
Con questa decisione, in definitiva, la Cassazione ha mutato radicalmente il suo precedente orientamento in materia, in base al quale il reato contestato era da ritenersi insussistente ogniqualvolta, pur in mancanza di un preventivo assenso delle rappresentanze sindacali, venisse comunque riconosciuta la presenza di un consenso validamente espresso da parte dei lavoratori interessati (v. Cass. pen., sez. III, 17 aprile 2012, n. 22611).
Per concludere, pur in presenza del consenso – scritto o verbale- dei dipendenti, le telecamere in azienda sono sempre vietate in caso di mancato rispetto delle garanzie previste dalla legge, ed il trattamento dei relativi dati personali resta in ogni caso illecito.
E allora:
– se l’ impianto di videosorveglianza è già istallato, bisogna verificare se è stato o meno formalizzato un accordo tra il titolare di farmacia e le rappresentanze sindacali (ove sussistenti), ovvero, in mancanza, se è stato attivato il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione da parte della Direzione Territoriale del Lavoro (ITL), tenendo presente che, come abbiamo appena visto, il semplice consenso anche in forma scritta dei lavoratori non basta a escludere la configurabilità di un reato e di una condotta antisindacale;
– se invece la farmacia intende installare ex novo un impianto di videosorveglianza:
a) in caso di presenza di una Rappresentanza Sindacale Aziendale formalmente costituita presso la farmacia, è sufficiente raggiungere un accordo che contenga tutti i requisiti che le vigenti disposizioni prevedono per garantire il rispetto delle disposizioni sopra riportate di cui all’art.4 dello Statuto dei Lavoratori;
b) diversamente, bisogna predisporre una richiesta di autorizzazione, da presentare all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente, che preveda, da un lato una dettagliata relazione tecnico-descrittiva sulla gestione e l’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza e, dall’altro, l’elaborazione, con il supporto di specifica planimetria, di tutti gli elementi strumentali e dei relativi requisiti tecnici, facenti parte del modello operativo di videosorveglianza aziendale.
Il proprio consulente del lavoro, in ogni caso, potrà essere d’aiuto anche nel disbrigo di questa pratica.
(Studio Porry)
La SEDIVA e lo Studio Bacigalupo Lucidi prestano assistenza contabile, commerciale e legale alle farmacie italiane da oltre 50 anni!