Una Regione ha da poco istituito una farmacia nella stazione ferroviaria di un comune non capoluogo di provincia, ma vediamo che altre farmacie stanno per essere aperte in mega centri commerciali.
Vi chiedo se per queste farmacie basta la richiesta del Comune come abbiamo letto che è avvenuto a Cuneo.

Più o meno le cose stanno oggi come è riassunto nel titolo e ci pare che questa sia anche la Sua impressione.

  • I sacri testi

Parliamo naturalmente delle farmacie c.d. aggiuntive, regolate dall’art. 1bis della l. 475/68 – introdotto dal comma 1 lett. b) dell’art. 11 del decreto Crescitalia –  che così dispone.
In aggiunta alle sedi farmaceutiche spettanti in base al criterio di cui all’art. 1 [quello “demografico” con il nuovo quorum 1:3.300] ed entro il limite del 5 per cento delle sedi, comprese le nuove, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita l’azienda sanitaria locale competente per territorio, possono istituire una farmacia:

  1. a) nelle stazioni ferroviarie, negli aeroporti civili a traffico internazionale, nelle stazioni marittime e nelle aree di servizio autostradali ad alta intensità di traffico, dotate di servizi alberghieri o di ristorazione, purché non sia già aperta una farmacia a una distanza inferiore a 400 metri;
  2. b) nei centri commerciali e nelle grandi strutture con superficie di vendita superiore a 10.000 metri quadrati, purché non sia già aperta una farmacia a una distanza inferiore a 1.500 metri”.

Il comma 10 dello stesso art. 11 precisa tuttavia che:
Fino al 2022, tutte le farmacie istituite ai sensi del comma 1, lettera b), sono offerte in prelazione ai comuni in cui le stesse hanno sede. I comuni non possono cedere la titolarità o la gestione delle farmacie per le quali hanno esercitato il diritto di prelazione ai sensi del presente comma. In caso di rinuncia alla titolarità di una di dette farmacie da parte del comune, la sede farmaceutica è dichiarata vacante”.

  • La (mancata) farmacia aggiuntiva di Mestre

Questo è il testo delle due disposizioni che ci interessano e che, pur di lettura abbastanza agevole, avevano subito suscitato alcuni dubbi interpretativi, risolti però quasi integralmente dai due soli (finora) interventi del CdS su questo tema: la sentenza n. 4535 del 28/09/2015 (“Auchan” di Mestre) e l’ordinanza n. 112 del 13.01.2017 (stazione ferroviaria e “Auchan” di Cuneo).
Decidendo in primo luogo l’articolata vicenda della (mancata) farmacia del centro commerciale “Auchan” di Mestre che il Comune di Venezia avrebbe voluto gestire mediante un’azienda partecipata, il Consiglio di Stato – all’esito di una lunga sequenza di provvedimenti del Tar e/o dello stesso CdS [era del resto la prima in materia portata all’esame dei giudici amministrativi] – ne ha definitivamente annullato l’istituzione confermando nel dispositivo, ma come vedremo non nelle motivazioni, le decisioni di primo grado e sciogliendo anche, cammin facendo, due o tre di quei nodi interpretativi.
Rileva in particolare il Supremo Consesso che la legge – introducendo questa nuova e peculiare figura di farmacia soprannumeraria, ben diversa pertanto da quella istituita ex art. 104 TU con il criterio topografico – ha inteso privilegiare [indicando anche, per alcune di esse, ulteriori specifiche caratteristiche] aree e/o strutture che sono espressione anche se presuntiva di bacini di utenza che giustificano di per sé l’apertura al loro interno di esercizi “in aggiunta alle sedi farmaceutiche spettanti in base al criterio ecc.” .
Perciò, conclude il CdS, l’istituzione di farmacie aggiuntive non ha “bisogno di un’apposita motivazione e, se pure l’art. 1bis contempla il solo parere obbligatorio dell’Asl, non per questo può escludersi l’intervento dell’amministrazione comunale, rientrando infatti nella discrezionalità della Regione anche il riconoscimento ai comuni – a dispetto (aggiungiamo noi) del diritto di prelazione loro attributo dall’art. 1bis su questi esercizi – della “facoltà di rappresentare l’esigenza di istituzione della farmacia “aggiuntiva” nel proprio territorio, mediante “proposte”, e perfino di subordinare dichiaratamente il provvedimento istitutivo a una previa richiesta comunale.
Ma almeno sul principio in sé crediamo si possa essere d’accordo: una pubblica amministrazione può introdurre nel procedimento qualsiasi contributo di privati o di altre amministrazioni pubbliche anche quando non previsto dalla norma attributiva del potere, tanto più laddove il contributo derivi, come qui, dall’ente esponenziale degli interessi della collettività alla migliore efficienza del servizio farmaceutico sul territorio e dunque delle necessità sia degli abitanti residenti (provvedendovi con farmacie istituite con il criterio demografico e/o topografico, ovvero trasferite per decentramento con quello c.d. urbanistico) come anche – e siamo appunto alle farmacie aggiuntive – delle esigenze della popolazione che acceda a specifiche strutture destinate per i servizi da esse erogati a essere frequentate da un numero elevato di utenti.
Senonché, nella fattispecie veneziana le cose erano andate un po’ diversamente perché la Giunta Regionale aveva adottato una sorta di “deliberazione-quadro” abdicando nella realtà alle sue attribuzioni e in pratica firmando in bianco i futuri provvedimenti (regionali) istitutivi di farmacie aggiuntive nel Veneto, in attesa che fossero proprio i comuni (come poi Venezia) a riempirli a loro piacimento.
Se tuttavia, come accennato, è lecito che le Regioni richiedano in queste fattispecie un intervento anche sommario dei comuni, o che siano i comuni – nonostante il rospo difficilmente digeribile di un diritto di prelazione che può essere esercitato a man salva fino al 2022 – a muoversi autonomamente sul piano propulsivo, è francamente molto meno condivisibile che si arrivi a un’autentica inversione dei ruoli regione/comuni, che è quanto nei fatti avvenuto per le farmacie aggiuntive del Veneto e quindi anche per quella (mancata) del centro “Auchan” di Mestre, anche se per il Consiglio di Stato “non si tratta di un trasferimento di competenze contra legem, ma di un semplice atto di autolimitazione della discrezionalità, di certo discutibile nel merito (almeno questo il CdS lo riconosce!) ma non viziato da manifesta illogicità”.
Alla fine però dell’intricato percorso giudiziario, tale aspetto – perlomeno nel fatto di Mestre – non ha concretamente inciso perché l’annullamento della delibera istitutiva di questo esercizio in soprannumero [disposto dal TAR, come sottolinea il CdS, “per un (supposto) difetto di motivazione del parere favorevole espresso dalla ASL”] è stato da ultimo ricondotto dal giudice d’appello soltanto al mancato rispetto della distanza di 1.500 metri tra l’esercizio più vicino e “ciascuno degli accessi esterni” del centro “Auchan”: uno solo di essi, infatti, secondo il criterio ben noto del “percorso pedonale più breve”, è risultato a distanza inferiore.
Un’inezia, ma sufficiente a impedire – ora e verosimilmente anche in futuro – l’apertura di una farmacia in quella struttura.
Si è così risolto un altro dei dubbi originari sull’art. 1bis perché è chiaro che anche la distanza di 400 metri dovrà essere misurata – sempre guardando al “percorso pedonale più breve” – tra le farmacie più vicine e l’intero perimetro dell’area demaniale pertinente alla stazione ferroviaria o marittima, o dell’area di servizio autostradale o infine di quella aeroportuale.

  • Legittima invece l’istituzione delle due farmacia aggiuntive di Cuneo

Il Tar Piemonte, con sentenza n. 882 del 20/06/2016, aveva respinto il ricorso di alcuni titolari di farmacia di Cuneo contro l’istituzione di una farmacia nel centro commerciale Auchan e di un’altra nella stazione ferroviaria.
Gli originari ricorrenti, tra cui gli assegnatari della sede inclusiva anche della stazione, hanno chiesto al Supremo Consesso la riforma della decisione del Tar e la sospensione dei due provvedimenti istitutivi, ma con la citata ordinanza n. 112/2017 il CdS ha rigettato l’istanza ritenendo “che la sentenza di prime cure abbia correttamente affrontato e risolto le questioni contenziose centrali”.
Ora, tra quelle “contenziose centrali” esaminate in primo grado – che quindi possiamo per ora ripercorrere solo alla luce dell’iter argomentativo del Tar, attendendo di conoscere la decisione di merito del CdS – c’era dapprima la “questione” del parametro territoriale di riferimento del limite del 5%, che ragionevolmente però, come i giudici piemontesi hanno ben spiegato, non poteva e non può essere quello comunale, ma soltanto quello regionale.
Anche qui si era inoltre posta la “questione” della legittimità della partecipazione del Comune di Cuneo al procedimento regionale istitutivo delle due sedi aggiuntive [entrambe guarda caso “prelazionate” al momento stesso dell’istanza/proposta alla Regione di istituirle ….], e anzi sotto questo profilo i fatti erano andati anche peggio rispetto a Venezia Mestre, perché la DGR Piemonte del 07/04/2014 prevede bensì (come nel Veneto) che i comuni formulino proposte d’istituzione di farmacie in soprannumero, ma qui devono essere “in tal senso documentate”: perciò, detta in soldoni, i comuni piemontesi chiedano pure alla Regione tutte le farmacie aggiuntive che vogliono ma documentino adeguatamente la richiesta.
Da quel che invece si è potuto dedurre, il Comune non ha spiegato/documentato alcunché a sostegno o a corredo della proposta di istituire i due esercizi aggiuntivi, e tuttavia tali carenze del procedimento regionale – pur in violazione di un precetto “autovincolante” per la Regione perché previsto in un suo stesso precedente provvedimento – non si sono tradotte per il Tar Piemonte “in alcun vizio della sceltauna volta ritenuta corretta, ecco il punto, la localizzazione indicata per i due esercizi.
Insomma, questa in sintesi parrebbe ormai la posizione del giudice amministrativo, quando una farmacia aggiuntiva sia istituita in una delle strutture elencate nell’art. 1bis, e ricorrano quei presupposti e/o quelle condizioni, la scelta regionale – anche se promossa o provocata dal comune senza particolari motivazioni o specifiche indicazioni (neppure) circa la presumibile consistenza dell’utenza utilizzatrice della struttura – non può ritenersi solo per questo viziata e dunque, in principio, la sua istituzione va considerata legittima.

  • La ratio dell’art. 1bis

Per la verità – se teniamo presente che la ratio legislativa dell’art. 1bis, come chiarisce giustamente la sentenza torinese, non è quella di “dotare di una farmacia arbitrariamente aggiuntiva gli stessi abitanti del comune già serviti sulla base del criterio demografico”, ma di “fornire il servizio in un ambito caratterizzato da specifico elevato traffico e del tutto a prescindere dai residenti” – potremmo almeno, se non altro, discutere sulla legittimità di una farmacia aggiuntiva in una struttura polifunzionale e destinata a mille altre finalità, come il “Movicentro” di Cuneo.
Questa struttura sembra infatti avere il solo “pregio” di essere adiacente alla stazione ferroviaria e di esporre al suo interno “i tabelloni che indicano gli arrivi e le partenze dei treni e sono diffusi gli annunci ferroviari”, ma certo non è destinata prevalentemente ai viaggiatori per ferrovia perché i suoi frequentatori/utenti sono tanti altri e diversi, compresi proprio i “residenti”.
D’altra parte, come dice ancora il Tar, “l’ipotesi di istituzione di una farmacia aggiuntiva costituisce fattispecie eccezionale”, essendo finalizzata (nella legge) a garantire la fruibilità del servizio farmaceutico aggiuntivo – in via largamente prioritaria – proprio agli utenti dello specifico “ambito” da servire, quindi soprattutto a chi viaggia per aereo, per nave, per ferrovia o in autostrada, ovvero sceglie di approvvigionarsi di articoli e prodotti in un grande centro commerciale invece che in esercizi di vicinato.
Ma se è così, come si può almeno a questi fini assumere – e quindi legittimare – nozioni di “stazione ferroviaria” o di “stazione marittima” o di “servizi alberghieri o di ristorazione” ecc. tanto dilatate rispetto all’“ambito” di utenza strettamente ascrivibile alla singola struttura?
Sarà perciò la giurisprudenza a dirci semmai fino a che punto “evolvere in moderno” queste nozioni, ma non è evidentemente da scartare l’ipotesi che con criteri così straordinariamente permissivi a favore delle amministrazioni comunali quel 5% di limite regionale possa essere presto e interamente consumato un po’ dappertutto.
In tal caso i comuni [ai quali d’altronde è probabile non siano sfuggiti questi orientamenti del CdS] avranno portato e/o porteranno a casa più o meno 1000 farmacie in tutta Italia da affidare in gestione ad altrettante società partecipate e utili più che altro a far cassa, senza voler qui affrontare il serio problema della persistente legittimazione comunale – anche nel quadro della normativa e della giurisprudenza della UE – a continuare in questo andazzo.

  • L’esempio della farmacia aggiuntiva di Civitavecchia

È da credere ad esempio, per portare un caso molto illuminante, che il Tar Lazio – laddove ipoteticamente coinvolto nella vicenda – avrebbe ben poco o niente da eccepire sulla recente istituzione di una farmacia aggiuntiva nella stazione ferroviaria di Civitavecchia, alla quale probabilmente il quesito si riferisce quando parla di “una farmacia nella stazione ferroviaria di un comune non capoluogo di provincia”.
La deliberazione della G.R. laziale n. 82 del 28/2/2017, infatti, istituendo questa farmacia nulla dice [come nulla aveva detto il Consiglio Comunale nella delibera contenente sin da allora, tanto per non perdere tempo, sia la richiesta/proposta che la manifestazione della “volontà di esercitare il diritto di prelazione per l’istituenda farmacia”] in ordine alla consistenza del bacino di utenza “ferroviario” – che in ogni caso, prescindendo dall’ormai ridotta importanza dello scalo, sembrerebbe di gran lunga inferiore a quello, poniamo, della vicina stazione marittima – limitandosi ad affermare la sussistenza delle “condizioni per l’apertura della farmacia aggiuntiva rientrando nel limite del 5% delle sedi” (ma il vero problema forse si porrà se l’esercizio sarà aperto all’esterno del fabbricato della stazione, così da essere accessibile all’intera popolazione anche residente di Civitavecchia…).
Sta di fatto in definitiva, come dicevamo anche nel titolo e come abbiamo appena visto, che al momento attuale sembra sufficiente che la farmacia aggiuntiva rientri in quel 5%, e che naturalmente il comune ne faccia richiesta, perché la Regione provveda senz’altro a istituirla.

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Indubbiamente non sono argomenti facili da maneggiare ma l’odierno punto di arresto del giudice amministrativo è quello appena delineato, e purtroppo sembra destinato a consolidarsi.

(gustavo bacigalupo)

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