Abbiamo costituito in tre farmacisti una snc per la titolarità di una farmacia vinta nel concorso che ci è stata rilasciata qualche mese fa.
In questi ultimi giorni è però emerso che uno dei soci è indebitato verso due finanziatori, uno dei quali ha minacciato azioni giudiziarie.
Vorrei sapere se questo socio può essere ora estromesso e se perciò la società rischia di decadere dalla titolarità della farmacia essendo noi tenuti a conservarla in società per almeno 10 anni.
Capita ancora (fin troppo spesso) di imbattersi in statuti societari che – come quello che Lei ci ha fatto pervenire – fissano la durata della società “a tempo indeterminato” o che, come altri, prevedono bensì un termine, ma collocandolo, poniamo, in un futuro talmente remoto (il 31/12/2100 sembra curiosamente la data di scadenza più gettonata…) da superare ragionevolmente le aspettative di vita dei soci e di qualsiasi altro mortale, almeno fino a quando la scienza medica non ci avrà regalato l’eternità.
Per restare alla società di persone (snc e sas) – quella che per il momento è la sola consentita per l’esercizio congiunto di una farmacia e per l’assunzione del relativo diritto d’esercizio – l’indicazione della sua durata nell’atto costitutivo/statuto è richiesta dall’art. 2295, n. 9), del cod. civ., e perciò, in mancanza, potrebbe/dovrebbe persino essere rifiutata l’iscrizione nel registro delle imprese, anche se su questo specifico punto le opinioni e i comportamenti di prassi sono divergenti (probabilmente però, se guardiamo bene, si tratta di una fattispecie assimilabile, quanto alla disciplina civilistica, alla durata “a tempo indeterminato”, con le conseguenze pertanto che stiamo esaminando).
Se dunque la durata della società, come appunto nel Vs. caso, è stabilita nel suo atto costitutivo/statuto “a tempo indeterminato” [ovvero “per tutta la vita di uno dei soci”], l’art. 2285 attribuisce a “ogni socio” il diritto di recesso ad nutum, esercitabile quindi liberamente, sia pure comunicandolo “agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi”.
Tale facoltà di recesso è concessa dall’art. 2307 u.c. al socio anche nei casi di proroga tacita, che si configura quando la durata della società sia stata statutariamente fissata a una data determinata o determinabile (e ovviamente “ragionevole” nel senso appena chiarito), ma senza che ne sia prevista una proroga automatica quale effetto della mancata comunicazione di disdetta da parte di uno o più soci.
Quelle di cui al citato art. 2285 sono norme imperative, quindi disposizioni inderogabili, che costituiscono peraltro applicazione del principio generale che non ammette vincoli contrattuali perpetui.
A tali due ipotesi legali, come accennato, la dottrina e soprattutto la giurisprudenza (v. in particolare Cass. Civ. n. 9.662 del 22/4/2013) equiparano perfettamente anche quella della previsione statutaria di una durata che ecceda la normale vita umana, che nel concreto assume indubitabilmente la stessa fine sostanza di una durata illimitata.
E però, se il tempo indeterminato e le altre due figure non pregiudicano in principio, per quanto si è appena osservato, l’interesse del socio a una ragionevole durata del vincolo societario, le cose stanno ben diversamente se guardiamo agli interessi del creditore particolare del socio, che poi è proprio l’aspetto che riguarda più da vicino la vicenda riassunta nel quesito.
Per l’art. 2305 c.c., infatti, “finché dura la società” il creditore “non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore” per soddisfare le proprie ragioni, neppure quando gli altri beni rinvenuti o rinvenibili nel suo patrimonio si rivelino a tale scopo insufficienti, e però egli “può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore” e anche, ma quando sarà, “compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo sulla liquidazione” (sono due prescrizioni contenute nel primo comma dell’art. 2270 che, pur riguardando le società semplici, vanno ritenute – per la fondamentale regola codicistica – applicabili anche alle snc e sas perché non incompatibili con nessuna delle disposizioni specifiche dettate dal cod. civ. negli artt. 2284 e segg.).
Il principio d’altra parte non è che il riflesso del vincolo inerente al patrimonio sociale della sua specifica destinazione all’esercizio dell’impresa collettiva che, come da un lato impedisce ogni potere di disposizione del singolo socio sui beni in esso compresi, così dall’altro li sottrae alle azioni esecutive dei suoi creditori particolari, i quali anzi non possono, ad esempio, neppure compensare il loro credito verso il socio con i debiti che eventualmente abbiano verso la società.
Tuttavia, questo limite al legittimo soddisfacimento delle sue pretese il creditore, come abbiamo visto, lo incontra e lo soffre [parliamo, s’intende, sempre di snc o sas regolari, come quelle titolari di farmacia, dato che nelle società di fatto e in quelle irregolari il limite non c’è] soltanto per la durata della società, tant’è che:
a) in caso di proroga espressa a una data determinata del termine di durata originariamente apposto – se apposto, ecco il punto – nell’atto costitutivo, egli può fare opposizione alla proroga “entro tre mesi dall’iscrizione della deliberazione di proroga nel registro delle imprese” (art. 2307, primo comma) al fine appunto della liquidazione a suo favore della quota del socio-debitore, cui la società (art. 2307, secondo comma) deve provvedere entro tre mesi dalla notificazione del provvedimento del giudice adito dal creditore;
b) in caso invece di proroga tacita (configurabile nei termini sopra chiariti), e crediamo anche in quello di proroga espressa a tempo indeterminato, se il socio ha esercitato la facoltà di recesso il suo creditore può, come detto, “compiere atti conservativi sulla quota spettante [al socio] nella liquidazione”, ma, se il socio non ha receduto, il creditore – per il combinato disposto dell’art. 2307 terzo comma e dell’art. 2270 secondo comma – può chiedere “in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore” (che deve essergli liquidata “entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento della società”), a condizione tuttavia che egli provi che “gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti”.
È chiaro perciò, se siamo riusciti a convincere qualcuno a seguirci fin qui, che una disposizione del contratto sociale che preveda, come nel fatto specifico descritto nel quesito, una durata del rapporto “a tempo indeterminato” [oppure, ripetiamo, “per tutta la vita di uno dei soci” o per un tempo superiore alle normali aspettative della vita umana] può indubbiamente – lasciando del tutto libero il socio debitore di recedere o non recedere – vanificare irrimediabilmente la posizione creditoria del terzo, che in tali evenienze deve pertanto poter azionare, tenuto conto dell’identità della ratio, gli stessi rimedi indicati sub b) per il caso di proroga tacita (o di proroga espressa a tempo indeterminato) e quindi “in ogni tempo” chiedere alle ricordate condizioni (provando cioè che “gli altri beni del debitore ecc.”) la liquidazione della quota “entro tre mesi dalla domanda ecc.”.
Il che, per sciogliere ora anche l’ultimo dubbio espresso nel quesito, vorrebbe dire evidentemente esporre la società come tale alla decadenza dalla titolarità per l’inadempimento all’obbligo di “mantenimento della gestione associata da parte degli stessi vincitori, su base paritaria, per un periodo di dieci anni”, sancito nell’ultima parte del comma 7 dell’art. 11 del dl. Cresci Italia (per di più, il possibile stop al dl. Concorrenza può pregiudicare – se il legislatore non interverrà rapidamente in un provvedimento diverso – anche l’auspicata riduzione da 10 a 3 degli anni di “mantenimento ecc.”).
Come si vede, insomma, dalla previsione nell’atto costitutivo/statuto di un preciso termine di durata del rapporto sociale, che sia ragionevole o comunque compatibile con l’età dei soci, hanno sicuramente da guadagnare – ancor più nella formazione delle società tra i vincitori in forma associata in un concorso straordinario – sia costoro uti singuli come anche l’impresa societaria in quanto tale.
E allora, quale durata apporre nell’atto costitutivo/statuto? Certamente non inferiore a quella imposta dal comma 7 dell’art. 11 del dl. Cresci Italia (anche richiamandovi semplicemente tale disposizione, così da agganciare direttamente la durata a quella legale, 10 o 3 anni che siano), ma sembra preferibile in generale fissare un termine che permetta a tutti i soci di far conto sul vincolo sociale fino al raggiungimento dell’età pensionistica o simile, perché una durata troppo breve e/o uno scioglimento troppo ravvicinato della società potrebbe pregiudicare persino qualche scelta di vita di uno o più soci.
Qualche riflessione meriterebbero del resto anche numerosi altri aspetti, parimenti strutturali, del contratto sociale, come il tipo di amministrazione (disgiunta, congiunta, o disgiunta e congiunta secondo le operazioni da compiere), le prestazioni lavorative (professionali e non) poste a carico dei soci e relativi compensi, l’incedibilità o la libera cedibilità delle quote, la facoltà o meno degli eredi del socio premorto di subentrare nella quota, la disciplina della fase di liquidazione della società (che prima o poi dovrà infatti essere sciolta), e così via.
Di qui la migliore diligenza e la giusta accortezza nella formazione del contratto sociale, così da pervenire ad un testo che sia figlio del contributo di tutti i soci in un regime di ampia dialettica ma infine pienamente da tutti condiviso.
Piuttosto, per chiudere, se i notai (e non soltanto i notai) evitassero un eccessivo ricorso al “copia/incolla”, come è plausibile sia accaduto in questa vicenda, sarebbe meglio anche per loro, che d’altronde dovrebbero generalmente tenere in maggior conto la specificità di una farmacia.
(gustavo bacigalupo)
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