Ecco un altro esempio delle implicazioni fiscali della nuova legge Cirinnà, forse meno rilevante di quello che abbiamo già trattato nella Rubrica (v. Sediva News del 07/10/2016: “L’impresa familiare per le unioni civili e le convivenze di fatto: certezze e perplessità”) ma non meno significativo.
Questa volta parliamo delle detrazioni Irpef per gli interventi di recupero edilizio: la norma di riferimento “a regime” è l’art. 16-bis del T.U.I.R. che ha reso permanente l’agevolazione e che testualmente dispone:
“Dall’imposta lorda si detrae un importo pari al 36 per cento [per inciso, la percentuale è salita al 50% fino al 31 dicembre 2016, salvo proroghe] delle spese documentate, fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare [sempre per inciso: 96.000 euro fino al 31 dicembre 2016, salvo proroghe] sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo [sottolineatura nostra] l’immobile sul quale sono effettuati gli interventi”.
L’Agenzia delle Entrate ha più volte chiarito che questa disposizione ha lo stesso ambito applicativo della norma originaria di cui alla l. n. 449 del 1997, che storicamente ha introdotto l’agevolazione fiscale e che, pertanto, valgono per essa tutti gli orientamenti di prassi formatisi in passato sul testo precedente.
E veniamo al punto.
In una recente risoluzione (n. 64/E del 28/07/2016) l’Amministrazione finanziaria è tornata sul tema della spettanza della detrazione al convivente di fatto non familiare che abbia effettuato interventi sull’immobile appartenente all’altro convivente.
Prima dell’entrata in vigore della Cirinnà, il problema si era già posto (le coppie conviventi more uxorio ci sono sempre state) e la soluzione data era quella per la quale il convivente non familiare, che non era proprietario dell’immobile neppure in parte e che ne sosteneva le spese (in tutto o in parte), avrebbe potuto beneficiare della detrazione solo se risultante detentore dell’immobile stesso in base ad un contratto di comodato.
Era in sostanza proprio questo il “titolo idoneo” di possesso richiesto dalla norma: un contratto di comodato, o, meglio, una sua formalizzazione per mezzo – quanto meno – della registrazione della scrittura privata che ne recava la trascrizione.
Ma la legge Cirinnà ha cambiato le carte in tavola e la citata risoluzione, molto opportunamente, ne prende atto.
La legge, infatti, pur non avendo equiparato le convivenze di fatto (senza distinzione tra etero e omosessuali) al matrimonio e alle neo-istituite unioni civili, ha tuttavia – come noto – riconosciuto (art.1, comma 36 e segg.) l’esistenza dei legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale tra due persone maggiorenni coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune.
In particolare, ha voluto attribuire una specifica rilevanza giuridica a tale formazione sociale e, in questo contesto, ha evidenziato l’esistenza di un legame concreto tra il convivente e l’immobile destinato a dimora comune.
Naturalmente stiamo parlando – anche qui, come nella citata Sediva News precedente – delle convivenze di fatto “registrate” ai sensi dell’art. 1, comma 37 della stessa legge, cioè di quelle convivenze dichiarate anagraficamente mediante l’inserimento dei due conviventi nello stesso nucleo familiare, residente nel comune ove la coppia intende stabilire la propria residenza o dimora.
Ma in tal modo, come è agevole comprendere, la detenzione dell’immobile è “acclarata” per il convivente non proprietario dalla stessa dichiarazione anagrafica e dunque, ai fini della detrazione, quest’ultimo non necessita più di altro titolo e men che meno, come invece era richiesto in passato, della formalizzazione di un contratto di comodato.
L’Agenzia delle Entrate, però, nel citato documento di prassi si spinge (favorevolmente) anche oltre.
Se la detenzione dell’immobile si “fonda” sulla sola convivenza anche per il convivente non familiare (dato che – sia chiaro – per il convivente familiare è sempre stato e continua ad essere il semplice vincolo di convivenza a legittimare il diritto alla detrazione), egli, al pari pertanto del convivente familiare, è legittimato a detrarre anche le spese sostenute per interventi effettuati su una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di convivenza, anche se diversa dall’abitazione principale del “nucleo familiare” (ad esempio, la casa al mare e/o in montagna della coppia sempre appartenente ad uno soltanto dei due conviventi).
Niente male, diremmo.
(stefano civitareale)
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