Le cose non stanno così come prospettato nella vostra news del 20/07/2016. La Regione ha assegnato sedi farmaceutiche ad ex titolari in forma individuale, i quali hanno, successivamente alla pubblicazione del decreto, provveduto a cedere la vecchia titolarità ad una società costituita ad hoc, di cui fanno parte, ed ottenere il trasferimento della titolarità da parte della Regione, evitando, altresì, la sede vacante.
Per la verità, più che un quesito questa parrebbe una “denuncia” che – con una lettera non firmata, ricca però di documentazione ufficiale ad essa allegata – ha voluto segnalare il fatto che vi è descritto e che (del tutto eccezionalmente) pubblichiamo, omettendo però dati di possibile identificazione, per dare un’idea di come possano talora rivelarsi conflittuali i rapporti tra un concorrente e un altro.
Sembra cioè plausibile che l’“anonimo” ha partecipato a un concorso dove ha visto rilasciare (o in via di rilascio?) la titolarità di una sede – sottratta pertanto ai “secondi interpellandi”, tra i quali probabilmente rientra anche proprio l’“anonimo” – a una compagine cui il diritto di esercizio avrebbe dovuto tuttavia essere negato.
Infatti, uno dei componenti – avendo conferito in una società di persone (e perciò, secondo i principi codicistici, ceduto) la sua farmacia rurale sussidiata dopo la pubblicazione del provvedimento di assegnazione ma prima di quello di titolarità – aveva perduto in quel momento stesso la “condizione” – prevista (con tanto di nota in calce, sulla quale torneremo) in tutti i bandi sub 6 dell’art. 2 – di “non aver ceduto la propria farmacia negli ultimi 10 anni”.
Egli era invece tenuto a conservare questa “condizione” fino al perfezionamento integrale della procedura concorsuale relativa alla sede da lui conseguita in associazione con altri concorrenti e dunque – un aspetto essenziale che vedremo meglio tra poco – fino al completamento/esaurimento del sub‑procedimento, generalmente di esclusiva competenza comunale, di rilascio dell’autorizzazione definitiva all’esercizio della farmacia.
La perdita medio tempore di tale “condizione” avrebbe perciò dovuto comportare l’esclusione dal concorso di quel co-vincitore, e quindi dell’intera compagine vincitrice, con il conseguente diniego di rilascio della titolarità e prima ancora con la revoca del provvedimento di assegnazione definitiva della sede, destinata così a rientrare nel secondo interpello.
Può darsi, beninteso, che in questo frattempo l’amministrazione competente abbia avuto tempestiva e adeguata cognizione della fattispecie e pertanto provocato nei fatti il provvedimento regionale di esclusione della compagine e/o la revoca dell’assegnazione.
Ma può darsi anche – come d’altra parte lascia intendere l’“anonimo” – che di tutto questo nessuno abbia avuto contezza e che conseguentemente per questa compagine le cose siano già andate (o stiano per andare) nel migliore dei modi, cioè con il rilascio della titolarità a favore della società tra loro costituita.
Ed è proprio questa evidentemente l’ipotesi che merita ora di essere meglio illustrata.
Saremmo in presenza di una vicenda anormale conclusasi tuttavia (o in procinto di concludersi) con un provvedimento illegittimo, quello appunto di titolarità; il che però proverebbe non tanto l’infondatezza di quel che si afferma nella Sediva News del 20/7/2016, quanto più verosimilmente la deplorevole negligenza dell’amministrazione per aver omesso di verificare la sorte della titolarità individuale della farmacia rurale sussidiata.
Se invero l’amministrazione – prima dell’adozione del provvedimento di autorizzazione all’esercizio della farmacia della società tra i co-vincitori – avesse proceduto ai necessari e dovuti controlli, gli scenari in cui avrebbe potuto in quel momento imbattersi erano i seguenti: 1) quel co-vincitore “rurale” era ancora titolare; 2) quel co-vincitore “rurale” aveva già rinunciato puramente e semplicemente alla titolarità; 3) quel co-vincitore “rurale” aveva invece trasferito l’esercizio e quindi “ceduto la propria farmacia negli ultimi 10 anni”.
In quest’ultima evenienza, le conseguenze avrebbero dovuto essere naturalmente quelle già descritte (esclusione dell’intera compagine e revoca dell’assegnazione); nell’ipotesi sub 1), avrebbe dovuto pretendere dall’interessato – per evitare queste stesse conseguenze – la previa rinuncia alla titolarità individuale della farmacia rurale sussidiata, per l’incompatibilità di tale posizione con lo status di socio prevista sub b) del comma 1 dell’art. 8 della l. 362/91; infine, nel caso sub 2), e soltanto in questo caso, avrebbe immesso legittimamente la società nella titolarità della farmacia conseguita per concorso.
Per noi le cose sono chiare, e speriamo che lo siano anche per chi ha letto queste notazioni sin qui, ma c’è un’ultima precisazione e riguarda la nota (riportata in calce, come già accennato, all’art. 2 di tutti i bandi) che “chiarisce” – le virgolette sono d’obbligo – che la condizione di “non aver ceduto la propria farmacia negli ultimi 10 anni” deve permanere in capo a ogni concorrente “fino al momento dell’assegnazione della sede”.
È una precisazione che desta manifestamente qualche perplessità, perché può anche far pensare che dopo l’assegnazione (e accettazione) definitiva scatti un “tana libera tutti” che sottragga definitivamente i concorrenti anche alla “preclusione decennale”, consentendo quindi loro, se abbiano partecipato quali titolari di farmacia rurale sussidiata o soprannumeraria, di cedere tranquillamente “la propria farmacia” e nondimeno restare nella procedura concorsuale senza più alcun rischio di esclusione ma con la piena legittimazione a partecipare con gli altri co-vincitori alla società riconosciuta (o da riconoscere) titolare della farmacia loro assegnata.
Non crediamo però che le cose stiano così, trattandosi di una specifica questione ampiamente esaminata a suo tempo dal Consiglio di Stato che ha concluso per l’operatività della “preclusione decennale” fino – come dicevamo all’inizio – all’integrale esaurimento della procedura relativamente a ogni singola sede e dunque fino al rilascio del provvedimento di autorizzazione al suo esercizio.
Certo, non si può escludere che qui si possa pensare diversamente [e magari ha pensato diversamente anche l’amministrazione competente nella vicenda raccontata dall’“anonimo”], anche perché non va dimenticato che il compendio regolatorio di un concorso – che in quello straordinario è costituito dall’art. 11 del decreto Cresci Italia, dalle altre disposizioni generali sui concorsi ordinari per sedi farmaceutiche e naturalmente anche dalle prescrizioni dei bandi – forma nel suo complesso una lex specialis che, come tale, non tollera l’introduzione, a seguito di procedimenti ermeneutici, di disposizioni in contrasto con i dettati letterali delle norme [e trascurando in questa sede la tutela del c.d. legittimo affidamento che va assicurata (anche) a qualsiasi partecipante a un concorso pubblico].
Così com’è scritta, allora, quella nota potrebbe anche autorizzarne un’interpretazione strettamente letterale, nel senso che la “preclusione decennale” potrebbe/dovrebbe davvero considerarsi operante solo “fino al momento dell’assegnazione della sede”, ma non oltre; ne deriverebbe l’incondizionata facoltà del titolare rurale – da quel momento in poi – di cedere liberamente l’esercizio senza la minima conseguenza sulla sua posizione concorsuale (il “libera tutti” di cui sopra).
Siamo però dell’idea che questi argomenti non convincano il Consiglio di Stato a mutare giurisprudenza, non solo perché il Supremo Consesso ha mostrato anche recentemente di tenere in ben poco conto quel che dicono e quel che non dicono le norme che disciplinano i concorsi straordinari [personalmente ci basta citare l’orientamento del CdS sulla “duplice assegnazione” che pure non è impedita, neppure implicitamente, da alcuna disposizione] ma soprattutto perché – attenzione – l’ultimo periodo del comma 6 dell’art. 11 del Cresci Italia regola espressamente la sorte delle “sedi farmaceutiche eventualmente resesi vacanti a seguito delle scelte effettuate dai vincitori di concorso” prescrivendo per la loro “copertura” l’utilizzo della graduatoria “con il criterio dello scorrimento”, un precetto d’altronde perfettamente ribadito anche sub d) dell’art. 11 di tutti i bandi.
Dunque, ambedue tali disposizioni – che fanno parte anch’esse del compendio normativo regolatorio del concorso, pur disciplinando diversamente [come abbiamo illustrato nella Sediva news del 28/10/2016: “Quali sedi nel secondo (o terzo) interpello, laziale e non solo?”] gli interpelli successivi al primo – postulano in termini non equivoci che il conseguimento di una sede, in forma individuale o associata, da parte di un titolare di farmacia rurale sussidiata o soprannumeraria comporta di diritto la “vacanza” della relativa sede farmaceutica e quindi la sua disponibilità per gli altri concorrenti (alla “sede vacante” fa acutamente cenno anche l’“anonimo” che del resto non sembra affatto uno sprovveduto…).
Secondo noi, in definitiva, la nota in calce all’art. 2 dei bandi va assunta come se dicessi: “…fino al momento del rilascio della titolarità della sede”, anche se, come vediamo, questa rischia di diventare l’ennesima questione che può dare qualche grattacapo in più ai giudici amministrativi.
Ma la relativa (per lo più) importanza della posta in palio, gli oneri da sostenere e l’incertezza circa il loro esito dovrebbero scoraggiare, almeno qui, agguerrite iniziative giudiziarie di concorrenti ai danni di colleghi che li precedano nella graduatoria.
(gustavo bacigalupo)
La SEDIVA e lo Studio Bacigalupo Lucidi prestano assistenza contabile, commerciale e legale alle farmacie italiane da oltre 50 anni!