Prima di parlare del nuovo, parliamo del “vecchio” ma più noto telelavoro, premettendo però doverosamente che si tratta comunque di una tipologia lavorativa che alle farmacie può attagliarsi soltanto per quel che riguarda i lavoratori adibiti a ruoli e/o incarichi e/o prestazioni che non devono necessariamente essere ricoperti o svolti all’interno dell’esercizio, quindi non al collaboratore farmacista e non al magazziniere ma, ad esempio, alla persona addetta ai fatti contabili dell’azienda o all’e-commerce o alla “tariffazione”, ecc.
Si era molto discusso già alcuni anni fa del telelavoro, come modalità di prestazioni di lavoro che – indipendentemente dalla posizione “geografica” dell’azienda – possono essere rese attraverso l’uso di strumenti telematici e informatici.
Caratteristica principale è la flessibilità sia sul piano organizzativo che con riguardo ai modi di svolgimento delle attività lavorative.
Anche il telelavoro, beninteso, può richiedere la presenza fisica in azienda del lavoratore in alcuni momenti della settimana o del mese, ma resta pur sempre telelavoro.
Requisito fondamentale naturalmente è sia la connessione alla rete dell’azienda attraverso gli usuali strumenti informatici che la possibilità di utilizzare la posta elettronica.
Quindi il telelavoratore deve essere dotato (dall’azienda) oltre che di un pc anche di una connessione internet a banda larga, e talvolta pure di un microfono, di uno scanner e (più raramente) di una webcam.
I vantaggi possono essere numerosi e talora cospicui, e ne citiamo alcuni:
– eliminazione o sensibile riduzione delle postazioni di lavoro;
– assunzione di soggetti svantaggiati, anche diversamente abili, con relativi benefici fiscali;
– diminuzione dei costi di gestione (pulizia, hardware, climatizzazione, ecc.);
– assenze del personale ridotte o molto ridotte nel numero;
– costi informatici minori perché i contratti telefonici privati per le connessioni wi‑fi offrono canoni inferiori rispetto alle utenze commerciali;
– notevole riduzione dei disagi connessi al traffico cittadino e dei costi di trasporto quotidiano per il tragitto farmacia-casa e viceversa;
– minori costi sanitari;
– maggiore autonomia del lavoratore e possibilità per quest’ultimo di equilibrare il rapporto tra il lavoro e la vita familiare.
Le forme/modalità di telelavoro possono essere diverse:
– telelavoro mobile: in questo caso la prestazione lavorativa viene svolta attraverso un portatile o uno smartphone;
– telelavoro a domicilio: qui il telelavoratore opera da casa collegato alla farmacia mediante il pc;
– telelavoro da satellite: in tale evenienza – che peraltro non può interessare una farmacia – c’è una filiale aziendale che “dialoga” con l’azienda-madre e con il cliente attraverso strumenti informatici.
È però comunque sempre necessario un accordo – individuale o collettivo – tra le parti e il lavoratore conserva costantemente la facoltà di tornare a svolgere la propria prestazione nella farmacia, come il datore di lavoro può da parte sua decidere in qualunque momento il rientro in azienda del dipendente.
Le norme che disciplinano il telelavoro sono quelle stesse che regolano la generalità dei rapporti di lavoro, e in particolare lo Statuto dei Lavoratori e la normativa sulla sicurezza e la salute (d.lgs. 66/2003) in ordine alle attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali (Dir. 89/391/CEE e n. 90/270/CEE).
Il telelavoro nel settore privato è parzialmente disciplinato da un accordo interconfederale del 2004, che stabilisce, ad esempio, che i costi di installazione e manutenzione delle apparecchiature informatiche e i consumi telefonici sono a carico del datore di lavoro, anche se il telelavoratore deve evidentemente “custodire” con diligenza gli strumenti di lavoro da lui utilizzati.
Le ore lavorative sono da lui gestite autonomamente e però con un carico di lavoro equivalente a quello degli altri lavoratori presenti fisicamente nella sede aziendale.
Invece nel settore pubblico il telelavoro è disciplinato dalla legge n. 191/98, dal dpr. n. 70/1999, dalla Deliberazione AIPA n. 16/2001 e dall’Accordo quadro dell’8/6/2011.
I telelavoratori – che godono della copertura antinfortuni Inail anche presso la loro abitazione preventivamente indicata al titolare della farmacia – sono lavoratori subordinati a ogni effetto e dunque assoggettati al suo potere direttivo con modalità però predeterminate al momento dell’inizio della prestazione (diversamente dai comuni lavoratori dipendenti).
Ma, nonostante siano passati ormai molti anni (almeno quindici) dall’introduzione delle prime forme di telelavoro, il suo successo in Italia è tuttora circoscritto.
Dobbiamo infatti tener conto che l’azienda difficilmente vuole/può eliminare completamente la postazione fisica del telelavoratore in quanto – proprio perché la norma prevede, come si è detto, la reversibilità del telelavoro – l’azienda deve comunque mantenere in sede un numero di postazioni adeguato rispetto ad un eventuale rientro dei lavoratori.
Inoltre, come abbiamo visto, l’azienda deve assolvere agli obblighi sulla sicurezza e salute del lavoro (anche) nel domicilio del lavoratore, se questo è il luogo dove egli esegue la prestazione, mentre negli altri Paesi la libertà del telelavoratore è pressoché totale, i costi restano a suo carico così come egli ha facoltà di scegliere l’orario di lavoro.
Senonché, alla fine del 2014 il “vecchio” telelavoro diventa smart working, con un provvedimento collegato al Patto di Stabilità 2016.
L’obiettivo primario è naturalmente sempre quello della produttività: quindi, rispetto al telelavoro, c’è la possibilità di organizzare con modalità più indipendenti sia il luogo che i tempi di lavoro e perciò, in sostanza, il lavoratore gode di una maggiore autonomia.
Resta naturalmente il presupposto di un lavoro prestato all’esterno dell’azienda, ma per quest’ultima lo smart working può rivelarsi uno strumento di maggiore flessibilità organizzativa.
È chiaro però che lo smart worker, appunto per l’autonomia e libertà di decisione di cui beneficia, dovrà godere di una grande fiducia da parte del datore di lavoro, ma, se nel concreto la serietà del rapporto non verrà meno, lo smart working potrà verosimilmente garantire una più ampia produttività aziendale.
Entro fine anno potrebbero essere approvate definitivamente le norme sullo smart working che dovrebbero precisare in termini sperabilmente non equivoci:
– il potere di controllo del datore di lavoro;
– i tempi di riposo del lavoratore;
– gli strumenti tecnologici da lui utilizzati.
Secondo alcuni dati statistici recenti, nel 2015 una modesta percentuale di imprese italiane si sono dichiarate favorevoli ad avviare progetti di smart working mentre alcune aziende hanno già adottato questa figura in via sperimentale.
I settori che però sembrano più adeguati al ricorso alla nuova forma di lavoro sono quello assicurativo, bancario, delle telecomunicazioni e dell’informatica, ma è comunque lecito credere, per concludere, che – dopo l’approvazione definitiva della normativa – questa nuova tipologia lavorativa potrà contribuire anch’essa a creare nuovi posti di lavoro.

 (giorgio bacigalupo)

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