Da circa due mesi ho aperto con il mio collega una farmacia assegnataci in un concorso straordinario e di cui è stata riconosciuta titolare la società tra noi costituita.
Ma in questi giorni sono risultato anche vincitore in un concorso per titoli bandito dalla stessa Regione per un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa peraltro non di lunga durata.
Il problema nasce dall’avvertimento che mi è giunto verbalmente dai funzionari regionali: se accetto l’incarico, io cado nella situazione di incompatibilità prevista nell’art. 8 della l. 362/91 e la conseguenza sarebbe la decadenza della società dalla titolarità della farmacia, con tutto quel che ne deriverebbe nei miei rapporti con l’altro socio.

Abbiamo dovuto affrontare parecchie volte – e ancor prima che i concorsi straordinari ne amplificassero l’importanza – le diverse vicende connesse ai casi di incompatibilità con lo status di socio elencati nell’art. 8 della l. 362/91, ma quello riportato nel titolo, come stiamo rilevando, può prestarsi a interpretazioni magari insospettate.
Premesso che la griglia legale delle incompatibilità è per i soci a maglie più strette di quella prevista per i titolari individuali (e questo perché la l. 362/91 ha voluto così controbilanciare la possibilità offerta ai farmacisti di acquisire congiuntamente una farmacia), riportiamo in primo luogo il testo integrale del comma 1 dell’art. 8:
La partecipazione alle società di cui all’articolo 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo [premorienza di un socio: ndr.], è incompatibile:

  1. a) con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco; (*)

(*) Originariamente, come si ricorderà, vi era inclusa anche la “distribuzione”, poi eliminata [quasi nell’indifferenza generale…, ma questo è un altro problema] dall’art. 5 del decreto Bersani del 2006 per sterilizzare – non c’è dubbio – gli effetti della inopinata sentenza (c.d. additiva) n. 275/2003 della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimità proprio del disposto sub a) nella parte in cui non estende(va) i casi di incompatibilità ivi previsti anche alle società di gestione di farmacie comunali.

E anzi, se stiamo al testo in corso (?) di approvazione definitiva (?) al Senato del dl. Concorrenza, è destinata a scomparire anche l’“intermediazione”, tanto per evitare equivoci o confusioni che possano far rivivere l’incompatibilità con la “distribuzione”…

  1. b) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia;
  2. c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”.

Su questa disposizione – che pure, in caso di inclusione tra i titolari di farmacia anche delle società di capitali, potrebbe essere prima o poi riscritto interamente – grandi problemi interpretativi non sorgono, o se non altro sinora è sembrato tutto abbastanza chiaro.
Del resto, quel “qualsiasi altra attività ecc.” che leggiamo sub a) non può dare adito a dubbi di rilievo: è incompatibile una qualunque “attività” – commerciale, imprenditoriale, di rappresentanza, di lavoro subordinato [anche se quest’ultimo, come vedremo, finisce per essere assorbito nel caso sub c)], di lavoro autonomo, ecc. – “esplicata” nei comparti indicati, ancorché non in via esclusiva.
Semmai, non si comprende pienamente quell’“altra”, ma l’una dovrebbe essere l’“attività” del farmacista socio, anche se, per rammentarlo una volta di più, nessuna disposizione sancisce l’obbligo di svolgere una qualsivoglia “attività” – nella o per la farmacia sociale – per tutti i soci, ma soltanto per quello che ne assume la direzione responsabile.
Può ben darsi, dunque, che alcuni soci non siano chiamati dall’atto costitutivo/statuto a svolgere il ruolo né di rappresentanti legali né di amministratori, funzioni che potrebbero infatti essere ambedue accentrate nel socio-direttore consentendo così agli altri di vivere perennemente… alle Maldive (a meno che, s’intende, un impedimento del socio-direttore non ne imponga la sostituzione con uno di loro).
Sono di agevole lettura anche le ipotesi di incompatibilità sub b), compresa quella del “collaboratore”: quindi il farmacista – che sia titolare o gestore provvisorio o direttore responsabile o collaboratore [non necessariamente questi due ultimi, attenzione, lavoratori subordinati] di “altra farmacia”, intesa come farmacia diversa da quella oggetto dell’attività di società, una o cento, cui quel farmacista partecipi – non può assumere nessuna partecipazione sociale, pena l’applicazione [come peraltro in tutte le ipotesi di incompatibilità contemplate sub a), b) e c)] del disposto del comma 3 dell’art. 8, che prevede la sospensione dall’albo “per un periodo non inferiore ad un anno” e l’interruzione della gestione della farmacia sociale per l’intero periodo di sospensione ove questa riguardi tutti i soci.
E siamo all’ipotesi indicata sub c) che dichiara la posizione di socio incompatibile “…con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato” e alla quale evidentemente si riconduce la fattispecie (descrittaci telefonicamente e così da noi riassunta nel quesito).
Questi dunque i fatti. Una Regione [che prudentemente non nominiamo, per tentare almeno di scongiurare rischi di… proselitismo] – dopo aver assegnato nel concorso straordinario da essa bandito una farmacia a Tizio e Caio, alla cui società è stata poi riconosciuta la titolarità dell’esercizio – avverte ora Tizio che, accettando l’incarico [comunque estraneo ai settori indicati sub a) e sub b) dell’art. 8] conferitogli da quella stessa Regione a seguito di selezione concorsuale, e da espletare conformemente al bando di gara in un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, egli incapperà proprio nella causa di incompatibilità di cui sub c), con la conseguente decadenza della società dalla titolarità della farmacia per l’uscita dalla compagine sociale di uno dei suoi componenti prima del decorso del decennio.
Ma qual è la migliore interpretazione di questa disposizione che, secondo quei funzionari regionali, impedirebbe al socio (anche) l’espletamento di prestazioni lavorative nel quadro di un rapporto di co.co.co., e per ciò stesso, come diremo subito, lo svolgimento di ogni attività di lavoro in ambito sia pubblico che privato?
A noi la posizione di quella Regione non sembra condivisibile.
Intanto, per restare in questo caso specifico, anche nel “Collegato Lavoro” (Jobs Act) alla Legge di Stabilità 2016 – in cui vengono altresì introdotte nuove formule di collaborazione continuativa  – le co.co.co. [ove mai, al di là del discutibile vocabolario, abbiano davvero configurato in passato tipologie di lavoro “parasubordinato”, quindi accostabile per alcuni profili a quello subordinato] sono oggi certamente puri rapporti di lavoro autonomo in cui infatti “nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente la propria attività lavorativa”.
Se perciò riguardasse anche il lavoro autonomo, l’impedimento sub c), ove coniugato con i casi di incompatibilità elencati sub a) e b), esprimerebbe nei fatti, ma soprattutto in principio, una inibitoria generale per il socio sancita dal comma 1 dell’art. 8 di qualunque attività lavorativa in una sfera diversa da quella della farmacia sociale e/o della società come tale, perché ogni prestazione di lavoro resa nel settore pubblico o privato (perciò, ogni prestazione lavorativa tout court) – quali ne siano la forma, il contenuto e la disciplina giuridica (lavoro subordinato, libero-professionale, occasionale, ecc.) – gli  verrebbe interdetta [senza contare che sul piano sistematico il divieto sub c), ma sarebbe naturalmente il male minore, si sovrapporrebbe per molti aspetti a quelli sub a) e b)].
Ora, ricordando anche in questa circostanza che le disposizioni restrittive – come indubitabilmente sono tutte quelle del primo comma dell’art. 8 della l. 362/91 – vanno interpretate, quando sia necessario interpretarle, altrettanto restrittivamente, ci pare che qui “rapporto di lavoro” debba essere rigorosamente e anche in senso più nominalistico ricondotto al solo rapporto di lavoro subordinato, senza dunque poter coinvolgere ogni altra possibile forma o modo di svolgimento di prestazioni lavorative, non importa se professionali o semplicemente autonome, né se effettuate con continuità per lo stesso soggetto ovvero con differenti modalità per più committenti.
A ben guardare, d’altronde, “rapporto di lavoro” è “rapporto di lavoro subordinato” non solo per “antonomasia”, ma anche nella semantica giurisprudenziale e legislativa. Basti pensare con riferimento a quest’ultima, e quanto al settore privato, alla disposizione di cui all’art. 1 del D.lgs. 81/2015 (il c.d. “codice dei contratti”) che definisce – con quella che, apparendo quasi una petizione di rango sociale più che una nozione in senso giuridico, può interpretarne ancor meglio il comune significato – “il contratto di lavoro a tempo indeterminato […] la forma comune di rapporto di lavoro”; e, quanto al settore pubblico, alla lapidaria definizione dell’art. 35 del D.lgs. 165/2001 (T.U. sul pubblico impiego) per la quale “l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro” specificando quel che  l’art. 1, comma 1, dello stesso provvedimento (“Le disposizioni del presente decreto disciplinano l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) qualifica come la cornice giuridica del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.
Inoltre, anche il “qualsiasi” del punto c) – che può indurre qualcuno, e verosimilmente ha indotto la Regione cui si riferisce il quesito, ad ampliare l’ambito applicativo del divieto in argomento nel modo che si è detto – non può condurre di per sé a conclusioni diverse, perché il suo significato è tutt’altro rispetto al “qualsiasi” del punto a).
Con “qualsiasi altra attività esplicata nel settore ecc.”, infatti, il legislatore ha voluto con tutta evidenza vietare al socio ogni (cioè qualsiasi) forma di “attività” – quelle che per intenderci abbiamo esemplificato all’inizio – in ambiti potenzialmente in conflitto con l’esercizio di una farmacia e quindi viene interdetta anche un’“attività” recante il minimo impegno di tempo e/o di lavoro, tant’è che l’interdizione viene qui formulata in senso oggettivo, riguardando cioè l’“attività” e non il tipo di rapporto instaurato.
In realtà, però, a parte ovviamente la diversa area di operatività, si muovono allo stesso modo anche gli impedimenti sub b), la cui fine sostanza d’altronde non può sfuggire a nessuno: il socio può [ma non sempre deve, come si è visto] svolgere le sue prestazioni professionali nella o per la farmacia sociale [ovvero in o per una delle farmacie di cui siano titolari società di persone da lui partecipate], ma gli è inibito di “fare il farmacista” sotto “qualsiasi” [termine che sub b) non è evocato ma che vi è sotteso] forma in un qualunque esercizio diverso, cioè in una qualunque “altra farmacia”, perché il legislatore ha così insindacabilmente scelto per prevenire potenziali interferenze con il miglior esercizio della farmacia sociale.
Ben altrimenti, nel divieto sub c) “qualsiasi” sembra riguardare solo le possibili e variegate articolazioni del rapporto di lavoro subordinato (a tempo indeterminato, a tempo determinato, parziale, interinale, ecc.) che anche per questo, come detto, appare pertanto il solo “rapporto di lavoro” legittimamente configurabile come autentico oggetto dell’impedimento.
E, se così correttamente circoscritto, la ratio del divieto sta nell’intendimento legislativo di evitare che il socio possa contrarre vincoli stringenti – come quelli che ineriscono a un rapporto di lavoro subordinato – con un qualsiasi terzo (rispetto alla società), pubblico o privato, che possano (pur semplicemente in principio) impedirgli un adeguato svolgimento delle sue prestazioni lavorative a favore della società e/o della farmacia sociale, anche quando egli non vi sia tenuto dallo statuto e/o dagli incarichi assunti.
D’altra parte, pensare diversamente e concludere per l’inibitoria al socio di “qualsiasi” prestazione (professionale ma anche, perché no?, non professionale) pure in un semplice rapporto di lavoro autonomo vorrebbe dire, come si è già sottolineato, vietargli ogni attività lavorativa, anche straordinaria o meramente saltuaria o soltanto occasionale, per qualunque soggetto privato (persona fisica, impresa individuale o società) e per qualunque amministrazione pubblica.
Ne deriverebbe una compressione assoluta – irragionevole e non giustificata – della libertà di iniziativa economica e/o professionale di quel socio, condannato come in un confino a lavorare in o per la farmacia sociale, oppure a non far nulla; e inoltre, se con la previsione sub c) dell’art. 8 avesse voluto proprio questo, la l. 362/91 non avrebbe avuto difficoltà [pur con il sospetto di incostituzionalità di una prescrizione del genere] a racchiudere espressamente l’attività lavorativa del socio, professionale o meno, nel recinto segnato dall’oggetto sociale.
Potremmo invocare a sostegno di questa lettura dell’impedimento sub c) anche altre considerazioni, richiamando ad esempio il provvedimento-padre di tutte le liberalizzazioni (D.L. 138/2011) o ricordando il grande rilievo sul piano costituzionale e su quello comunitario della libera allocazione del fattore-lavoro tra operatori economici.
Ma ci addentreremmo in una laboriosa (per noi) e noiosa (per chi legge) esegesi di testi normativi, tuttora per giunta poco esplorati, e di provvedimenti giurisdizionali, e non può essere certo questa la sede per una tale operazione, tanto più che probabilmente – se quella Regione non si ravvederà – questa specifica vicenda sarà presto il giudice amministrativo a doverla scrutinare, perché l’interessato sembra fortemente orientato ad accettare la co.co.co. con l’amministrazione regionale senza tuttavia voler pregiudicare la titolarità (conferita alla società cui egli partecipa) della farmacia conseguita nel concorso straordinario.

(gustavo bacigalupo)

La SEDIVA e lo Studio Bacigalupo Lucidi prestano assistenza contabile, commerciale e legale alle farmacie italiane da oltre 50 anni!