Posso conservare con i miei tre fratelli (di cui due farmacisti) la quota che nostra madre, deceduta recentemente, possedeva in una snc titolare di farmacia, pur essendo anch’io attualmente un titolare di farmacia? L’Ordine risponde di sì ma il Comune è di parere contrario. Vorrei anche sapere quali soluzioni pratiche possiamo adottare.

Quando cade in successione una quota di società di farmacisti (come pure di qualsiasi altra società di capitali o di persone), insorge tra i coeredi una comunione sull’intera quota ed è quindi la comunione come tale che provvisoriamente – non oltre, cioè, il compimento del sesto mese dalla presentazione della dichiarazione di successione relativa alla quota stessa –  assume qui la veste di socio, ferma la formalizzazione mediante rogito notarile della continuazione della società tra il socio superstite e la comunione.
Sono però fatte salve le norme statutarie, che potrebbero infatti anche prevedere, come talora nel concreto è, una liquidazione del valore della partecipazione da parte del socio superstite o comunque destini diversi da quello del subentro degli eredi nella quota del socio deceduto.
Nel Suo caso, presupponendo che il subentro da parte vostra nella quota non sia impedito dallo statuto, è certa l’inapplicabilità per Lei di tutte le figure di incompatibilità contemplate nell’art. 8 della l. 362/91 rispetto alla “partecipazione alle società di cui all’articolo  7”, quelle cioè tra farmacisti (società di persone o società cooperative a r.l.).
L’incipit  del primo comma di tale disposizione, infatti, prima di elencare i vari casi previsti  sub a), b) e c) – e in particolare, per quanto interessa questa vicenda, quello sub b) riguardante la “posizione di titolare, gestione provvisoria, ecc.” – fa espressamente  “salvo il caso di cui ai commi 9 e 10” dello stesso art. 7, che sono proprio le due disposizioni che (anche se in parte modificate dall’art. 5 del  decreto Bersani  del 2006 e dall’art. 11 del dl. Cresci Italia) disciplinano ancor oggi la successione mortis causa in una farmacia o in una quota di società di farmacisti.
Una volta tanto, quindi, una norma parla chiaro e non può davvero lasciar adito ad alcun dubbio.
L’erede di un titolare in forma individuale potrà dunque per l’intero periodo suindicato, pur se anch’egli titolare individuale, assumere liberamente la gestione ereditaria della farmacia caduta in successione; e potrà assumerla in forma pure individuale quando sia l’unico erede, legittimo o testamentario, ovvero in forma collettiva [società di fatto poi regolarizzata in snc o sas] con i coeredi, mentre – laddove si tratti soltanto della quota di una società di farmacisti – egli potrà liberamente gestire quest’ultima, e anche qui da solo o, come nel Suo caso, in comunione indivisa con i coeredi.
Del resto, le cose stavano così anche prima  della l. 362/91, quando la titolarità di una farmacia privata era riservata al farmacista individualmente, perché anche allora nessuno poteva dubitare che l’esercizio dell’impresa, per l’intero periodo concesso agli eredi (che tra il ’68 e il ’91 è stato volta a volta di cinque, uno, tre, sei o sette anni), potesse essere assunto dall’avente causa del titolare deceduto in qualunque condizione egli fosse – avvocato, impiegato, medico, ecc… – e perciò anche, a propria volta, titolare di un’altra farmacia.
Neppure allora, infatti, era configurabile un subingresso dell’erede, individualmente o in forma societaria con eventuali altri coeredi, nella titolarità della farmacia [la quale, intesa come diritto di esercizio derivante da un’autorizzazione o  concessione, restava e resta per tutto il tempo sospesa, continuando, per così dire, ad “appartenere” al de cuius], ma  semplicemente il subentro jure successionis, individuale o collettivo, nella proprietà e godimento dell’azienda sottostante, con il diritto pertanto – visto che la norma lo permetteva come tuttora lo permette – di gestirla in via provvisoria, cioè per l’intero periodo ma non oltre, assumendo quindi pienamente rispetto ad essa lo status di imprenditore, individuale o collettivo, ma senza assumere neppure per un momento quello di titolare (nel senso appena chiarito).
Anzi, perfino nel sistema previgente alla l. 2/4/68 n. 475 (e, a ben guardare, anche al TU San. 1934) l’erede poteva essere autorizzato “all’esercizio provvisorio….fino al conferimento della farmacia” per concorso; lo prevedeva testualmente l’art. 61 del Reg. Farmaceutico del 1938, una disposizione ancora in vigore anche se ormai per ovvie ragioni di modesto ambito applicativo. E anche in tali evenienze gli aventi causa potevano e possono essere chiunque, pur se qui – a differenza delle  gestioni ereditarie successive alla l. 475/68, che ha conferito commerciabilità anche alla farmacia – non subentravano né subentrano neppure nella proprietà aziendale.
Tornando al Suo caso, Lei potrà dunque assumere a pieno titolo, in comunione con gli altri tre fratelli, la veste di socio nella snc cui vostra madre partecipava,  e conservare la quota per l’intero periodo ora previsto dall’art. 11 del dl Cresci Italia, nel corso del quale potrà raggiungere con i coeredi le intese migliori per l’assegnazione della quota stessa (previa, se del caso, una divisione a stralcio) ad uno o più di voi, dando però sempre uno sguardo allo statuto sociale che, come accennato, potrebbe anche non consentire, ad esempio, che la quota di un socio deceduto sia rilevata definitivamente da più di un  avente causa.
Inoltre, ove fosse Lei – da solo o con altri fratelli [che in questo momento, in attesa della definitiva approvazione del dl Concorrenza, possono essere soltanto i farmacisti] – a rendersi assegnatario della quota, dovrà previamente rimuovere la causa di incompatibilità (che soltanto allora, infatti, diventerà pienamente applicabile) conferendo la Sua  farmacia in una snc o sas con un qualsiasi terzo e mantenere così le due partecipazioni per tutto il tempo previsto nello statuto dell’odierna snc e/o concordato con il socio superstite.
Un’ultima notazione. Il regime cui è sottoposta la quota da voi ereditata – e che abbiamo appena descritto – sarebbe in sostanza lo stesso anche ove si ritenga, come qualcuno ritiene, che la successione a causa di morte di più persone in una quota sociale si inquadri giuridicamente [quando, s’intende, il de cuius non ne abbia in termini espliciti disposto diversamente] non come un loro subentro jure ereditario in comunione ma nel subentro di ciascuno dei coeredi in una frazione della quota sociale corrispondente percentualmente alla quota pertinente sull’asse a ognuno di loro per successione legittima o testamentaria.
Tuttavia in questa configurazione – che personalmente non condividiamo – spetterebbe evidentemente al singolo coerede qualsiasi potere di disposizione della sua frazione di quota nel rispetto dei termini temporali e, ancora una volta, delle norme statutarie.

 

(gustavo bacigalupo)

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