I “nuovi” factoring praticati dai grossisti – QUESITO
Si sta consolidando un pericoloso meccanismo.
Certi distributori smontano i factoring attuali, sostituendoli con analoghi
factoring nel quale però l’interesse di dilazione viene calcolato dal
grossista stesso e messo in fattura. Il calcolo avviene su un tasso di
interesse annuale calcolato dal CdA dell’azienda (es.: 4,5 annuo).
Invece, il tasso di factoring in questo momento varia da 2,6 a 2,9 annuo.
In tal modo il distributore lucra 1,2/1,6 punti come utile finanziario e in
certi casi, leggendo il bilancio dell’azienda grossista, mi pare che questa
“pratica” consenta a quest’ultima di chiudere l’esercizio in utile…
E’ una condotta corretta? Come difendersi? Può il distributore di farmaci
sostituirsi in pratica ad un intermediatore finanziario? O l’unico vero
rimedio è quello di non lavorare più con quel distributore?
Su questi argomenti regnano sovrane le regole di mercato.
In tutti (o quasi) i settori merceologici la dilazione di pagamento che il
fornitore concede al proprio cliente ha un corrispondente onere, che può
essere esplicitato sotto forma di addebito di interessi o implicitato sotto
forma di minor sconto o margine, come spesso avviene nel mondo dei farmaci.
Il tasso di interesse del 4,5% annuo corrisponde a un onere di dilazione
mensile dello 0,37%, tutto sommato neppure così caro!
Molti grossisti, anche di rilevanza internazionale, praticano
frequentemente lo 0,5% mensile che ovviamente corrisponde niente di meno
che a un 6% (e più) annuo, e infatti le cooperative di solito sono meno
“esose”.
Naturalmente, le aziende lucrano su questa gestione finanziaria perché
quasi sempre riescono a “pagare” il denaro meno di quanto lo “rivendono”;
così facendo chiudono spesso in utile anche bilanci che, a livello di
risultato operativo, evidenzierebbero una perdita.
Ma questa è una vecchia storia, nata nel mondo della grande distribuzione
organizzata alcuni decenni fa, nell’epoca cioè in cui i tassi di interesse
viaggiavano a due cifre: i supermercati e gli ipermercati abbassavano i
prezzi di vendita degli articoli, riducendo così, o addirittura azzerando,
i loro margini allo scopo di aumentare i fatturati (che venivano incassati
contanti dai consumatori) e “rivendere” pertanto il denaro alle banche a un
buon tasso di interesse, sfruttando la dilazione di pagamento che si erano
fatti concedere dai fornitori, in virtù della loro posizione dominante di
mercato.
Tutto legittimo, anche se discutibile.
(roberto santori)