LE IMBARAZZANTI OSCURITÀ SULLA MAGGIORAZIONE AI RURALI A SEGUITO DELLA
SENTENZA DEL CDS

Parecchi si stanno ora chiedendo se e che cosa possono o devono fare per
avvalersi della tesi recentemente affermata dal Consiglio di Stato nei
concorsi straordinari cui abbiano partecipato, ovvero per contrastare chi
intenda avvalersene; chi siano i primi è chiaro, mentre gli altri sono
ragionevolmente i concorrenti collocati nelle prime posizioni delle
graduatorie già pubblicate o che, applicando la maggiorazione come sinora è
sempre stato, ritengano di conseguire una posizione comunque molto
favorevole nelle graduatorie che verranno.

▪ Il dictum del CdS e le finalità di questa indagine
Quel che ha detto pochi giorni fa la sentenza n. 5667 del 14/12/2015 del
Consiglio di Stato [il testo è allegato] sul criterio applicativo della
maggiorazione riconosciuta ai rurali dall’art. 9 della l. 8/3/68 n. 221 è
ormai noto: tenuto conto che il “massimo di punti 6,5” – il tetto numerico
che la norma pone al punteggio aggiuntivo di cui per effetto della
maggiorazione può beneficiare il rurale nella categoria dei “titoli
relativi all’esercizio professionale” – va “considerato globalmente [quindi
ricondotto all’intera commissione: ndr] e non già riferito a ciascun
commissario”, e che l’art. 9 è una “lex specialis” rispetto alla normativa
generale di cui alla l. n.362/1991 e DPCM. n.298/1994, ne consegue che
l’attribuzione al rurale di un “massimo di punti 6,5” in applicazione del
beneficio non può incontrare neppure l’ostacolo dei 35 punti che
costituiscono il punteggio-limite stabilito per “l’attività professionale
svolta” e che pertanto possono legittimamente essere superati fino al
raggiungimento del (“nuovo”) tetto di 41,50.
Come abbiamo potuto tutti cogliere in questi giorni, il tema è di estrema
importanza e va dunque affrontato adeguatamente, anche per dare alcune
risposte [premettendo che si tratterà di nostre risposte] ai tanti – e sono
ovviamente farmacisti partecipanti ai concorsi straordinari, ma anche
titolari di farmacia (il loro interesse alla vicenda è d’altronde facile
intuirlo), ordini professionali e associazioni sindacali – che vorrebbero
saperne di più.
Chiariamo subito che non citeremo in questa disamina i “parafarmacisti”
(cioè i titolari o collaboratori di/in parafarmacie) perché, anche se
notoriamente l’art. 11 del dl. Cresci Italia estende anche a costoro (ma
senza dire altro) i benefici dell’art. 9, è molto improbabile – vista la
giovane età della parafarmacia – che la loro anzianità professionale in
quella specifica veste possa essere così cospicua da averli condotti o
condurli ad un punteggio tale da avvicinarli, anche applicando la
maggiorazione come ha affermato il CdS, al punteggio-limite dei 35 punti
per i titoli relativi all’esercizio professionale (per i parafarmacisti,
semmai, i problemi di valutazione dei loro titoli possono essere altri ma
non è questa la sede per parlarne).
Intanto, doverosamente, il testo dell’art. 9 della l. 221/68: “Ai
farmacisti che abbiano esercitato in farmacie rurali per almeno cinque anni
come titolari o come direttori o come collaboratori verrà riconosciuta una
maggiorazione del 40 per cento sul punteggio in base ai titoli relativi
all’esercizio professionale, fino ad un massimo di punti 6,50”.
Riservandoci di spiegare successivamente le ragioni del nostro fermo
dissenso dalle conclusioni del Consiglio di Stato [soltanto accennate
nella Sediva news del 22.12.2015: “Una picconata sui concorsi straordinari
anche dal CdS”], siamo costretti dall’autorevolezza del Supremo Consesso a
piegarci per il momento ai suoi assunti e a passare in rassegna gli aspetti
di spiccata criticità e di precipuo interesse soprattutto, come accennato,
per chi intenda farli propri come al tempo stesso anche per le loro
potenziali “controparti”.

▪ Quali rimedi per i rurali (e quali le “contromisure” per gli altri
concorrenti)?

a) Le graduatorie che allo stato sono ormai inoppugnabili
Ricordando che il termine per ricorrere al Tar è di 60 gg. dalla
pubblicazione della graduatoria e quello per proporre il ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica (ovvero, per il concorso
siciliano, al Presidente della Regione) è invece di 120 gg. dalla data
stessa [per inciso, si tratta di due mezzi di impugnativa alternativi, dato
che il ricorso al Tar impedisce la proposizione di quello straordinario,
mentre quest’ultimo può essere trasferito – è la c.d. translatio iudicii –
al giudice amministrativo per effetto di specifico atto di opposizione
notificato al ricorrente dalla Regione o da uno dei concorrenti meglio
graduati del ricorrente], sono ormai definitivamente inoppugnabili per
decorrenza di ambedue i termini le graduatorie di Piemonte, Val D’Aosta,
Liguria, Toscana, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Molise e Friuli, e ora
è diventata inoppugnabile anche la graduatoria delle Marche perché i 120
gg. sono scaduti il 7 gennaio scorso.
È anche decorso il termine per l’impugnativa al Tar della graduatoria della
Puglia, contro la quale potrebbe tuttavia essere forse ancora proposto
(entro il 12 febbraio p.v.) ricorso straordinario al PdR, considerato che
la graduatoria definitiva è stata approvata una prima volta in data
1/4/2015, per essere però poi riformulata con atto dirigenziale n. 346/2015
pubblicato sul BURP n. 134 del 15/10/2015, e pertanto è da questa data che
dovrebbe decorrere il termine di 120 gg. anche se il condizionale è
d’obbligo se teniamo presente quel che diremo più oltre con riguardo alle
graduatorie “rettificative” di quelle precedenti.

b) La sofferta graduatoria laziale
Sicuramente molto più complicata per le incertezze che la caratterizzano è
la situazione della graduatoria del Lazio, perché è pur vero che
l’originaria “Determina” di approvazione del 3/11/2014 (BURL n. 90
dell’11/11/2014) – accompagnata dalla contemporanea pubblicazione dei
“criteri di valutazione generali” adottati dalla commissione e nei quali,
con riguardo alla maggiorazione ai rurali, veniva esplicitato che questa
non avrebbe “in ogni caso” potuto “comportare il superamento del punteggio
massimo complessivo (pari a 35 punti) da attribuirsi per l’attività
professionale svolta” – è stata “rettificata” dapprima con la “Determina”
del n. G12950 del 28/10/2015 (BURL n. 88 del 3/11/2015) e successivamente
con quella n. G14924 del 2/12/2015 (BURL N. 97 del 3/12/2015).
Appare però molto arduo per il rurale – questo il vero problema laziale –
ricorrere contro la “Determina” del 2/12/15 laddove egli non abbia
previamente impugnato quantomeno la precedente e anzi c’è il rischio che
possa essergli comunque opposto il mancato gravame contro la prima
“Determina”, con conseguenze in ogni caso per lui irrimediabilmente
pregiudizievoli
In sintesi, gli interrogativi sono i seguenti.
Se non ho impugnato – invocando già allora la “super-maggiorazione”
partorita dal CdS, ed è inverosimile che qualche rurale sia stato così
“previgente” da dedurre illo tempore questo (molto ipotetico) vizio del
provvedimento – la graduatoria laziale del 3/11/14, posso ora ricorrere [al
PdR entro il 2 marzo 2016] contro la sua prima “rettifica” del 28/10/15,
proponendo censure – lo ribadiamo perché il punto cruciale potrebbe stare
proprio qui – che avrei potuto ma forse dovuto far valere contro il primo
provvedimento, come sarebbe ovviamente il caso del rurale che intendesse
ora giovarsi della tesi del CdS?
O addirittura, non avendo impugnato né la prima né la seconda “Determina”,
posso ricorrere tranquillamente [anche al Tar] contro la terza del 2/12/15,
che per giunta contiene – differentemente dalla precedente [che oltretutto,
per quanto possa contare, dichiara “di approvare la graduatoria ecc.” e
non semplicemente “di rettificare la determinazione ecc.”] – soltanto un
paio di banali ulteriori “rettifiche” alla graduatoria originaria?
Oppure, vado incontro a una pronuncia di inammissibilità, per la verità
molto probabile in questa ultima ipotesi, ma indubbiamente
possibile anche in quella delineata
precedentemente dell’impugnativa della “Determina” del 28/10/15?
Come si vede, perciò, nel concorso laziale – se siamo riusciti a farci
comprendere almeno dai più attenti – al rurale potrebbero oggi rivelarsi
interdetti ambedue i mezzi di impugnativa (TAR e Capo dello Stato) o, bene
che gli vada, potrebbe forse essere giudicato ammissibile un suo ricorso
straordinario al PdR entro il 2 marzo contro la “Determina” del 28/10/15,
sembrando comunque molto difficoltoso individuare una via convincente per
portare al TAR (o al PdR) quella del 2/12/15.

c) Le graduatorie “provvisorie” e quelle che verranno: per il rurale vie
giudiziarie e vie amministrative
Non hanno invece neppure iniziato a decorrere – e sono quindi aperte tutte
le misure giudiziarie e la proposizione di tutte le deduzioni che vogliamo
– i termini per ricorrere contro le graduatorie di Abruzzo e Sardegna
perché tuttora “provvisorie” [e così dovrebbe essere, per la stessa
ragione, anche per la graduatoria della Sicilia, per la quale tuttavia
siamo in possesso di elementi contraddittori, visto che non sappiamo come
il Tar palermitano abbia potuto sospendere l’efficacia di una graduatoria…
“provvisoria”], come naturalmente è di là da venire la decorrenza dei
termini per le graduatorie ancora “in mente Dei” di Campania, Umbria,
Lucania, Calabria, Trento e Bolzano.
Sia per le une, come per le altre, sono dunque in questo momento spalancate
tanto le vie giurisdizionali [è tale, pur se non formalmente, anche il
ricorso straordinario al PdR] quanto quelle amministrative come, ad
esempio, istanze di riesame (o simili) alla Regione che in particolare
mirino espressamente – per il rurale, o i rurali presenti in una stessa
compagine associativa – ad una rivalutazione [in Abruzzo, Sardegna e
Sicilia] o valutazione [nei concorsi in cui la graduatoria sia ancora in
fase di formazione] dei titoli relativi all’attività professionale sulla
base appunto del criterio applicativo della maggiorazione come delineato
dal Consiglio di Stato.
Ma, si badi bene, accolte o non accolte che siano queste istanze, ne
seguirà comunque un contenzioso giudiziario, promosso dal rurale in caso di
rigetto dell’istanza (in modo espresso o semplicemente disattendendola in
fase di attribuzione dei punteggi), ovvero da altri concorrenti in caso di
accoglimento.

d) I possibili spiragli per le graduatorie inoppugnabili
Sub a) e b) abbiamo indicato per quali graduatorie sia ormai preclusa al
rurale, per tardività/inammissibilità, la strada giudiziaria.
Non possiamo però, almeno ipoteticamente, scartare del tutto l’eventualità
che in questo frattempo alcune di esse – per le quali tuttavia, attenzione,
non abbia ancora preso avvio la fase dell’interpello [perché diversamente
lo strappo sarebbe generale e praticamente non più ricucibile per i tanti
ulteriori problemi che ne deriverebbero] – vengano non già semplicemente
“rettificate” [in tal caso si potrebbero infatti presentare sul piano
giurisdizionale gli ostacoli di cui in particolare si è già parlato sub b)
per la graduatoria laziale], ma interamente riformulate così da incidere
comunque anche sulla posizione del rurale e conseguentemente, questa volta
senza alcun dubbio, riaprire ex novo i termini dell’impugnativa.
E magari in tali evenienze il rifacimento della graduatoria potrebbe
derivare dalla
scelta regionale [se del caso a seguito di taluna delle istanze di riesame
cui si è accennato o anche, perché no?, d’ufficio] di voler tener conto in
autotutela proprio dei nuovi dettami del CdS.
Ma si tratterebbe almeno per il nostro Paese di una soluzione quasi di
fantaburocrazia, che potrebbe per di più rivelarsi foriera di effetti-
domino forse anche peggiori del… male, come d’altra parte è anche
scarsamente ipotizzabile che qualcuno – tra Ministero e Regioni – possa
prendersi la briga, nell’attuale situazione dei concorsi straordinari già
di per sé quanto mai tumultuosa, di organizzare una sorta di “maxi-
conferenza” che sia funzionale ad una soluzione di carattere generale
favorevole ai rurali, perché pensiamo che nella realtà il problema possa
semmai risolversi, posto che sia risolvibile, soltanto con interventi
circoscritti a singoli concorsi e dunque graduatoria per graduatoria.
Naturalmente, però, il rurale, sia individualmente che come componente di
una compagine, potrebbe presentare istanze di riesame in un qualsiasi
frangente, e quindi – se pure come tentativo disperato – anche nel caso in
cui una graduatoria sia stata già pubblicata e persino laddove siano
iniziati gli interpelli e/o già assegnate alcune sedi, pur se è molto
difficile evidentemente essere ottimisti sull’esito di eventuali iniziative
di questo genere.

▪ La graduatoria “rettificata” è una nuova graduatoria, ma…
Come sarà forse chiaro da quanto rilevato sinora, nelle circostanze in cui
una graduatoria è stata (e/o sarà) soltanto “rettificata” [questo il
vocabolario qui utilizzato dalle Regioni, ma non sempre a proposito e non
sempre coerentemente con omologhi provvedimenti precedenti], intervenendo
perciò solo sul punteggio erroneamente attribuito nella precedente a
qualche concorrente e però senza la minima incidenza sulla posizione in
graduatoria del rurale, ne consegue bensì una graduatoria/provvedimento
autonoma e non meramente confermativa della precedente, e quindi ex se
impugnabile, ma probabilmente soltanto da chi abbia interesse a far valere
vizi di legittimità strettamente inerenti alle “rettifiche”, e non
pertanto, come abbiamo osservato a proposito del Lazio, censure che in
principio (e sarebbe appunto il caso del rurale) erano deducibili già
avverso la graduatoria “rettificata”.
Certo, non possiamo escludere recisamente che la ricordata autonomia
provvedimentale della graduatoria pur soltanto “rettificativa”, rispetto a
quella “rettificata”, possa invece renderla impugnabile dal rurale per
qualsiasi vizio di legittimità, compresi quelli che già inficiavano sì la
precedente persistendo tuttavia anche nella successiva, ma ci pare di dover
propendere per la tesi più restrittiva e meno favorevole al rurale, e del
resto è in questo senso, sostanzialmente in terminis, anche la sent. n.
5410 del 31/10/2014 della III Sez. del Consiglio di Stato (che è proprio la
Sezione che si occupa anche di farmacie…).
Da ultimo, si tengano tuttavia sempre presenti anche gli oneri di un
contenzioso (al Tar come anche allo stesso PdR) che non sono affatto di
poco conto neppure laddove fosse promosso – come si sta profilando – da una
fitta schiera di rurali “a mo’” di class action, il cui rumore
peraltro potrebbe forse in ogni caso giovare alla loro causa…
▪ Non necessaria l’impugnazione (anche) del bando di concorso
In questi giorni abbiamo esaminato tale questione, come anche quella appena
affrontata, con i nostri amici/colleghi più vicini (Nicoloso, Lucidi,
Giordani, Leopardi), partendo proprio dalla fattispecie concreta decisa dal
Consiglio di Stato, in cui dinanzi al Tar alla ricorrente era stato opposto
dalla Regione il mancato previo e autonomo ricorso contro il bando di
concorso (che tuttavia non era diretto all’assegnazione di sedi
farmaceutiche ma alla formazione della nota graduatoria ad efficacia
quadriennale), impugnato infatti in primo grado solo unitamente alla
graduatoria che guarda caso era anche lì rettificativa della precedente,
pur se a quanto pare incidente anche sulla posizione della ricorrente.
In quella vicenda il bando sardo conteneva per quel che ci interessa una
clausola il cui tenore anticipava di per sé il pregiudizio che ne sarebbe
derivato alla ricorrente: “la maggiorazione deve essere calcolata sul
punteggio riportato dal candidato in relazione all’attività prestata in
sede farmaceutica rurale, ma in ogni caso la predetta maggiorazione non può
comportare il superamento di punteggio massimo complessivo da attribuirsi
per l’attività professionale svolta” [più o meno la stessa inequivoca
notazione che abbiamo visto riportata nei “criteri di valutazione generali”
adottati dalla commissione laziale].
Ma secondo una giurisprudenza consolidata le prescrizioni dei bandi di
concorso, che non riguardino i requisiti di partecipazione alla selezione o
che non siano comunque immediatamente lesivi degli interessi dei
concorrenti, manifestano la loro efficacia dannosa solo nel momento in cui
spiegano concreto effetto nei confronti dei partecipanti, e non devono
perciò essere impugnate nel termine di decadenza decorrente dalla loro
legale conoscenza, ma possono esserlo successivamente, unitamente cioè al
provvedimento conclusivo della procedura; e questo, perché anche una
clausola del bando in principio pregiudizievole potrebbe non rivelarsi tale
sul piano effettuale non potendo escludersi che il concorrente
astrattamente danneggiato, nonostante l’applicazione della prescrizione per
lui lesiva, possa non di meno conseguire, poniamo, il primo posto della
graduatoria e non avere quindi alcun interesse concreto e attuale
all’impugnativa.
Ancor meno evidentemente può porsi questo problema per i bandi di concorso
straordinario, essendosi limitati tutti più o meno a recitare così:
“All’attività svolta dal farmacista titolare o collaboratore di esercizio
di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, si
applica la maggiorazione del 40%, fino ad un massimo di 6,50 punti, ove
sussistano le medesime condizioni di cui all’art. 9 della Legge 221/1968”,
e non prendendo quindi alcuna posizione sul criterio applicativo dell’art.
9 e per ciò stesso non potendo pregiudicare di per sé nessun rurale né al
momento della sua emanazione né a quello della pubblicazione della
graduatoria, che quindi va impugnata, quando impugnabile, da sola o al più
unitamente ai “criteri generali” se formulati per questo aspetto nei
termini espliciti dei criteri laziali.
Non può avere quindi alcun rilievo a tali fini, lo aggiungiamo per
completezza, che nelle fasi di predisposizione del “bando unico” il
Ministero e le Regioni possano essersi “accordati” per assegnare alla
maggiorazione un valore assoluto, tale cioè da consentire al rurale – pur
applicando a suo favore il beneficio previsto dall’art. 9 – di incontrare
non il limite di 32,50 punti, pari a 6,50×5 commissari, ma quello “massimo”
(così concordemente ritenuto in quelle “intese”) di 35.
Infatti, anche non considerando che quei fantomatici “accordi” ci sembra
siano rimasti sempre ben riposti nei cassetti ministeriali e regionali, sta
di fatto che si tratterebbe – ancor più delle disposizioni dei bandi – di
“intese” prive di qualunque immediata lesività per il rurale al quale
insomma, per ribadirlo ancora una volta, non era né è fatto ora alcun onere
di impugnare il bando o quel che gli ha ronzato intorno.

▪ Crediamo però che il Consiglio di Stato abbia preso un grosso abbaglio
Fin quasi a ridosso della fine della IV Legislatura il ddl. di riforma del
servizio farmaceutico – cui in extremis erano stati trasfusi per larghe
parti i vari testi che fino ad allora stavano percorrendo itinerari
parlamentari diversi – includeva sia le norme di incidenza strutturale nel
sistema che quelle specifiche destinate alle farmacie rurali.
Ma il progressivo avvicinarsi della scadenza e i contrasti sempre vivi tra
le forze politiche su alcune delle disposizioni portanti della riforma
(prima fra tutte, come noto, quella sulla trasferibilità per atto tra vivi
e a causa di morte della farmacia, al pari di qualunque azienda
commerciale) convinse l’allora Ministro della Sanità, On. Mariotti, a far
camminare per conto loro le norme sui rurali – ritenuti infatti meritevoli
di un indifferibile provvedimento di tutela – in modo da accelerare e
comunque non pregiudicarne l’approvazione.
E fu così che le disposizioni su farmacie e farmacisti rurali – enucleate
chirurgicamente dall’unico ddl. – andarono a comporre quella che divenne
poi la l. 8/3/68 n. 221, ben presto seguita, anche se all’ultimo soffio di
vita delle Camere, dalla l. 2/4/68 n. 475 che veniva a segnare
profondamente nel modo che sappiamo l’intero ordinamento settoriale.
È sufficiente però – senza dover necessariamente ripercorrere questi
avvenimenti – confrontare i due testi legislativi con quello del ddl. di
provenienza per cogliere agevolmente dove sta l’errore marchiano, e
dirimente in negativo, in cui è incappato il Consiglio di Stato.
In particolare, il massimo organo di giustizia amministrativa ha purtroppo
replicato tout court lo stesso infortunio interpretativo in cui negli
ultimi 20 anni [prima del 1992 il problema d’altronde non ha avuto ragione
di porsi perché sino ad allora il tetto era stato comunque quello di 32,50]
erano incorsi parecchi Tar.
Affrontando invero questa peculiare vicenda dell’esatto inquadramento e
della migliore valutazione del beneficio riconosciuto nei concorsi ai
farmacisti rurali dall’art. 9 della l. 221/68, i giudici amministrativi [se
escludiamo l’isolata sent. n. 114 del 22/2/2012 del Tar Molise, anche se
quest’ultimo – distinguendosi anche qui sia dagli altri Tar che dal CdS –
ha ritenuto automaticamente elevato da 6,50 a 7 il punteggio-limite ma
sempre per ciascun commissario] si erano tutti omologati sull’aspetto ora
decisivo alla sciagurata (per le sciocchezze argomentative che vi si
rilevano) dec. n. 127 del 2/6/92 del Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, che
era stata infatti la prima a riferire il tetto dei 6,50 punti, ritenuto
peraltro anche qui non superabile neppure applicando la maggiorazione ai
rurali, non a ciascun commissario ma all’intera commissione.
È un fatto però che, come accennato, vi si è ora omologata anche la sent.
n. 567/2015 del CdS pur non spendendo in proposito neppure una parola e
dando semplicemente per scontata un’interpretazione della norma che
chiunque, anche poco esperto di cose giuridiche, non può invece far fatica
a contestare.
La questione sta in questi termini: il tetto “massimo di punti 6,5”,
evocato dall’art. 9 con espresso riguardo alla “maggiorazione del 40 per
cento ecc.”, va riferito al commissario uti singulus o alla commissione
come tale? Nel primo caso il beneficio non permetterebbe al rurale di
superare il punteggio complessivo di 32,5, mentre nel secondo il
concorrente potrebbe incontrare soltanto il limite dei 35 punti previsto
per tale categoria di titoli dal DPCM del ‘94 e succ.modd., o addirittura –
secondo il CdS – neppure questo limite.
Ma perché proprio “un massimo di punti 6,50” e non, ad esempio, di 4 o 6 o
10 o 20 punti?
Semplicemente perché l’art. 9 – redatto, lo abbiamo visto, quando era
innestato nell’originario ddl. di riforma – ha voluto, anzi dovuto tener
conto che nelle disposizioni relative alle categorie di titoli e ai
rispettivi punteggi introdotti per l’allora nuovo concorso per titoli ed
esami, ed esattamente in quelle poi tutte riprodotte nell’art. 7 della l.
475/68, era per l’appunto 6,50 “il punteggio massimo” di cui “ogni
commissario” avrebbe potuto disporre “per titoli relativi all’esercizio
professionale”, come era di 3,50 per “ogni commissario” quello “per titoli
di studio e di carriera” (elevati poi rispettivamente a 7 e a 3 dal DPCM).
È quindi questo tetto per commissario che l’art. 9 – come d’altronde è
facile cogliere anche dal suo stesso tenore letterale – ha inteso
deliberatamente rispettare nel riconoscere una maggiorazione di punteggio
ai rurali, come confermano anche gli ultimi due commi dell’art. 7 che
infatti, attribuendo un punteggio supplementare anche al “concorrente
figlio… o al coniuge del farmacista la cui farmacia sia a concorso” e ai
“mutilati e invalidi di guerra ecc.”, riconoscono a queste due categorie
“punti 10 complessivi sulla categoria dei titoli relativi all’esercizio
professionale”, che dunque, proprio perché “complessivi”, vanno (rectius:
andavano) riferiti, essi sì, alla commissione come tale, consentendo
inoltre tali due disposizioni, esse sì, per aver taciuto differentemente
dall’art. 9 su un qualunque “massimo di punti”, di scavalcare perfino il
limite (di allora) di 32,50 punti.
Per i rurali le cose ci pare invece stiano in tutt’altro modo, e anzi –
come abbiamo osservato già tre anni fa in una diversa circostanza [v.
Sediva news 12/2/2013: “La maggiorazione del 40% e il tetto di 6,5 punti
per commissario”, che alleghiamo anch’essa per non doverci ripetere] –
l’innalzamento da 6,50 a 7 del punteggio-limite per commissario, e da 32,50
a 35 di quello complessivamente conseguibile dal concorrente per i titoli
in argomento, non crediamo affatto possa aver trascinato verso l’alto anche
i tetti raggiungibili per effetto della sola maggiorazione del 40%, ma che
7 e 35 siano i punti che anche il rurale possa raggiungere soltanto con
l’anzianità e la qualità della sua attività professionale (anche se la
questione nel concreto non sorge nei concorsi straordinari perché la
partecipazione in forma associata ha comportato in sostanza il
raggiungimento dei due limiti per tutte le “candidature” plurisoggettive).
È evidente però che il vero pilastro delle affermazioni centrali del CdS –
su cui dunque in realtà si fonda l’intera decisione anche se il supremo
giudice amministrativo vi sorvola con regale e colpevole nonchalanche,
senza perciò il minimo approfondimento – sta proprio nella riconduzione
alla commissione e non al singolo commissario della maggiorazione, un
“assioma” di cui tuttavia, a dispetto di questo grave passo falso di
partenza, il CdS avrebbe potuto parimenti almeno limitare i danni e quindi
stoppare comunque a 35 il punteggio attribuibile al rurale anche
riconoscendogli la maggiorazione.
Ma il Consiglio di Stato, concludendo invece per la superabilità del limite
(innalzato quindi in pratica a 41,50, dato il “massimo di punti 6,50”
enunciato nell’art. 9), corrobora o tenta di corroborare tale convincimento
con due notazioni, frettolose quanto secondo noi inconsistenti.
La prima starebbe nella natura di “lex specialis” dell’art. 9: la
qualificazione è corretta, ma di per sé, come il CdS aveva già rilevato
nella sent. n. 635/2009, può probabilmente spiegare [anche se, prima che
nel 2006 intervenisse la Corte Costituzionale, ne aveva dubitato lo stesso
Consiglio di Stato nel parere n. 354 del 30/3/2004, reso all’interno del
procedimento di un ricorso straordinario al PdR] la sua sopravvivenza alla
l. 362/91, che ha infatti abrogato espressamente (tra gli altri) l’art. 7
della l. 475/68 – sopprimendo quindi anche le ricordate norme attributive
di punteggi aggiuntivi regolati però, come si è visto, del tutto
diversamente – e non invece, per negligenza o per altro, la pur
complementare disposizione della l. 221/68.
Ma non sembra possa spiegare convenientemente anche l’asserita superabilità
del punteggio-limite di 35 punti – che per inciso recherebbe altresì quella
dell’altro punteggio-limite di 50 e addirittura quella del tetto dei tetti
dei 100 punti – perché, “specialis” o “generalis” che sia, la norma va
interpretata secondo i canoni ermeneutici, in principio comuni all’una e
all’altra, fissati dall’art. 12 delle preleggi e ricorrendo perciò, in
primo luogo, al criterio letterale e al criterio sistematico e/o logico, e
poi, se necessario, all’interpretazione teleologica che, prendendo le mosse
dall’intero assetto normativo vigente (soprattutto di settore, nel nostro
caso), mira a ricostruire la famosa ratio legis, cioè la finalità
economico/sociale, della norma da interpretare.
E, come abbiamo tentato di illustrare poco fa, sia il significato proprio
delle parole che leggiamo nell’art. 9, come il suo inquadramento
all’interno della diarchica ma unitaria riforma del ’68, spingono
decisamente verso una lettura dell’art. 9 molto diversa da quella di
rottura offerta dal CdS.
L’altro argomento dedotto a sostegno della tesi il Consiglio di Stato lo
enuncia così: “Un’interpretazione difforme finirebbe, oltre a privare (?)
di contenuto la norma agevolativa – l’art. 9 di cui sopra – col
privilegiare coloro che hanno una minore anzianità di servizio nelle
farmacie rurali alterando il rapporto proporzionale tra esercizio di
attività professionale e corrispondente punteggio conseguibile.
In sostanza, osservando la clausola del bando, soltanto coloro che hanno
un’anzianità di poco più di 13 anni di servizio nelle farmacie rurali
potrebbero conseguire il massimo punteggio, mentre risulterebbero
penalizzati coloro i quali sono in possesso di un’anzianità superiore –
intorno ai 20 anni di servizio – il che naturalmente oltre a porsi in
contrasto con la legge, condurrebbe a conseguenze abnormi sul piano della
razionalità e dell’imparzialità”.
Ora, intanto non è per niente vero che riferire i 6,50 punti a ciascun
commissario vorrebbe dire “privare di contenuto la norma agevolativa”,
perché semmai ne limiterebbe semplicemente la portata, che conserverebbe
egualmente una buona consistenza (se prescindiamo dal modestissimo rilievo
che per le ragioni già dette la maggiorazione può assumere
nei concorsi straordinari per chi vi abbia partecipato in forma associata).
E poi, quanto alle “conseguenze abnormi sul piano della razionalità e
dell’imparzialità” che deriverebbero da un’interpretazione della norma
“difforme” da quella offerta dalla sentenza perché ne “risulterebbero
penalizzati coloro i quali sono in possesso di un’anzianità superiore”,
dimentica il Consiglio di Stato che la ratio di punteggi decrescenti col
crescere dell’anzianità professionale – come originariamente previsto
nell’art. 7 della l. 475/68 e come è previsto oggi nel DPCM – volge
esattamente nella direzione opposta, esprimendo la precisa voluntas legis
di favorire i farmacisti più giovani o meno anziani con la quale dunque è
in perfetta linea l’apposizione del limite di 35 punti come barriera
insuperabile anche applicando la maggiorazione.
Quindi, se pure “il rapporto proporzionale tra esercizio di attività
professionale e corrispondente punteggio conseguibile” può risultarne
“alterato”, che è quel che vorrebbe scongiurare il CdS, si tratta di un’
“alterazione” che è una precisa scelta del legislatore, che – diversamente
– avrebbe optato verosimilmente per una griglia di punteggi (per i titoli
relativi all’esercizio professionale) più aderenti e meglio corrispondenti
all’effettiva anzianità di servizio, ad esempio non ponendo limiti di
durata a quella valutabile e/o non distinguendo in termini così
macroscopici la valutabilità dei primi dieci anni rispetto a quella degli
altri dieci.
Per noi, in definitiva, la sentenza del Consiglio di Stato non appare in
nessuna delle sue parti condivisibile, per quel che dice e ancor più per
quel che suppone, e siamo anzi propensi a credere che si tratti di una
decisione frutto di una svista, naturalmente imperdonabile sia in sé e
soprattutto per quel che può comportare nei concorsi straordinari e ancor
più significativamente in quelli ordinari che stanno arrivando (come anche,
non lo si dimentichi, nei concorsi ordinari banditi anteriormente al d.l.
Crescitalia e tuttora in via di espletamento), nei quali infatti i
farmacisti potranno partecipare soltanto individualmente e quindi, se
rurali, vincere spesso anche a mani basse.
Se poi aggiungiamo, come ciliegina sulla torta, che – secondo il comma 7
dell’art. 11 del dl. Cresci Italia – i punteggi spettanti alle
“candidature” plurisoggettive vanno determinati “sommando i titoli
posseduti” (da ciascun componente l’associazione), quid juris nel caso in
cui partecipino alla compagine due o più rurali, magari non giovanissimi?
Forse che per ciascun rurale il punteggio-limite diventa 41,50, con tutto
quel che ne consegue? Alzi la mano chi, rileggendo la sentenza del CdS (che
non sembra fare sconti al riguardo), si sentirebbe di giurare su una
risposta negativa.

▪ Ma come si rimuove una sentenza del CdS?
Non certamente, almeno questa, con un ricorso alla Cassazione e neppure con
un ricorso per revocazione, e allora non resta che attendere che il CdS
abbia occasione di ripensarci, quel che d’altronde potrà accadere anche in
tempi brevi perché dovremmo avere prestissimo un’ordinanza in sede
cautelare di un Tar (qualche rurale infatti agirà immediatamente in via
giudiziaria con richiesta di sospensiva della graduatoria, laddove
evidentemente proponibile), con la possibilità subito dopo di ricondurre la
questione, sia pur sempre nella fase cautelare, all’esame del Consiglio di
Stato.
È vero che il Supremo Consesso ha impiegato, ad esempio, quasi dieci anni
per rimangiarsi la decisione che per la prima volta aveva inopinatamente
circoscritto alle farmacie urbane il disposto del secondo comma dell’art.
104 TU.San. (come sostituito dall’art. 2 della l. 362/91) sul
riassorbimento delle sedi soprannumerarie, ma questa sulla maggiorazione ai
rurali è una sentenza che per il suo grande rilievo sta avendo un’eco
straordinaria e assumendo proporzioni vaste e ad ampio spettro.
È lecito quindi credere che un ripensamento del CdS – se ci ripenserà –
possa esserci molto prima del solito e del resto questa è per ora la prima
e unica decisione che si è espressa nei termini che abbiamo visto e
criticato.

▪ Note conclusive
Ci pare in definitiva di aver offerto un quadro sufficientemente esauriente
del ventaglio delle possibili evoluzioni di questa vicenda che, comunque
vada a finire, avrà generato ulteriori criticità sui concorsi straordinari,
già avversati da tutto quel che sappiamo e che in buona parte è ancora
lontano da soluzioni definitive e rassicuranti.
Chi ne ha interesse, in un senso o nell’altro, potrà quindi trarre da
questo lavoro indicazioni forse utili nell’individuazione della scelta
migliore; possiamo forse aver raffreddato animi troppo accesi e ottimisti
ma le nostre sono considerazioni espresse, come si suol dire, pro scientia
e pro veritate, senza quindi margini di tifo se non per la certezza del
diritto, troppo spesso invocata soltanto a chiacchiere.
(gustavo bacigalupo)

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