Riforma del lavoro: le “partite Iva” che operano nella farmacia

Ancora un tema molto importante (anche, come sappiamo, per le farmacie) su
cui – nell’intento dichiarato di voler contrastare il fraudolento utilizzo
delle c.d. partite Iva – è intervenuta incisivamente la Riforma Fornero,
introducendo nel d.lgs. 276/2003 l’art. 69bis, che detta una serie di
indici dalla cui presenza o assenza viene fatta espressamente derivare la
convalida o l’esclusione di un autentico rapporto di lavoro autonomo con
soggetti “a partita Iva”.
In particolare, le prestazioni lavorative svolte nell’ambito delle farmacie
(ad es. dai tariffatori e/o contabili a partita iva) sono considerate –
salva la prova contraria fornita dal committente (la farmacia), di cui
diremo subito – rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (e non
rapporti intercorrenti con “partite Iva”) quando ricorrano almeno due delle
seguenti condizioni:
a) che la collaborazione si protragga per non meno di otto mesi nell’arco
di un anno solare;

b) che il corrispettivo della collaborazione – anche se liquidato da più
soggetti riconducibili però allo stesso centro d’imputazione di
interessi – costituisca più dell’80% dei corrispettivi
complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di un anno
solare;

c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro (anche
non esclusiva) presso una sede del committente.

Verificandosi almeno due di tali presupposti, l’attività lavorativa non si
riterrà più prestata come “partita Iva” ma rientrerà nel quadro di un vero
e proprio contratto di lavoro parasubordinato (a meno che, attenzione, la
presunta “collaborazione” non venga colpita, lo vedremo subito, addirittura
dalla “sanzione” della conversione in rapporto di lavoro dipendente sin
dall’origine).
Dunque, il committente, per evitare la “trasformazione”, dovrà porre cura
particolare soprattutto alla durata della prestazione (massimo otto mesi
nell’anno solare) e sulla retribuzione effettivamente corrisposta al
collaboratore (non superiore all’80% di quella da lui complessivamente
percepita nello stesso anno solare).
La farmacia, nel caso in cui venga messa in discussione la validità del
“rapporto a partita Iva”, dovrà fornire pertanto la prova contraria in
ordine alla sussistenza di almeno due dei tre indici/condizioni di cui ai
punti a), b) e c).
Tale onere, tuttavia, viene meno – e la prestazione resta quindi svolta da
una “partita Iva” -quando l’attività lavorativa presenti ambedue le
caratteristiche sotto indicate sub 1) e 2), ovvero, in ogni caso, quando
ricorra quella sub 3):

1. elevate competenze teoriche maturate mediante percorsi formativi
ovvero  capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso le esperienze
effettuate sul campo, cioè nell’espletamento delle attività
lavorative;

2. sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo
non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile (euro
18633,00) ai fini del versamento dei contributi previdenziali previsti
per la gestione artigiani e commercianti;

3. sia svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali
l’ordinamento richiede l’iscrizione a un ordine professionale, ovvero
ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati
e detta specifici requisiti e condizioni (tali attività saranno
comunque individuate dal Ministero del lavoro entro il 18 ottobre
2012).

Quindi, se teniamo conto di questi presupposti, possiamo affermare che
nessun problema può derivare nel concreto dall’avvio e/o conservazione di
rapporti “a partita iva” con un farmacista, trattandosi di un iscritto ad
un ordine professionale (sempre che, s’intende, egli svolga la sua attività
professionale perché, diversamente, la collaborazione ricadrebbe
nell’ambito dei co.co.co, quando l’oggetto fosse ad es. la realizzazione di
un progetto di sviluppo/riorganizzazione del settore profumeria della
farmacia).
Massima attenzione va invece prestata alle eventuali “partite iva” non
farmacisti (ad es. un tariffatore o contabile), dato che sarebbe
evidentemente onerosa la conversione del loro rapporto in co.co.co.,
derivandone in capo al committente gli obblighi contributivi.
La Riforma ha previsto inoltre che, dal 18 luglio c.a. (data della sua
entrata in vigore), le trasformazioni delle partite iva in co.co.co.
potranno essere ritenute legittime soltanto in presenza di un progetto
specifico, mancando il quale le false “partite iva” si convertiranno
addirittura in rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato a
decorrere, per di più, dalla data della prima “fattura”.
Tale previsione potrebbe naturalmente creare notevoli problemi per quei
rapporti con “partite iva” avviati prima della legge di riforma, dato che
potrebbero essere privi appunto di un progetto specifico e sottoposti
quindi a una doppia conversione ex lege: per gli effetti del primo comma
del citato art. 69bis, infatti, questi rapporti sarebbero riqualificati
come collaborazioni coordinate e continuative per poi – subito dopo –
subire, in applicazione del quarto comma dello stesso articolo, e in
assenza del progetto specifico, la “sanzione” della trasformazione sin
dall’origine della co.co.co. in rapporto di lavoro subordinato.
Ulteriore problematica da tenere sotto osservazione è l’attività dei
presunti “collaboratori” ove non iscritti agli albi, qualora essa sia
espletata con modalità analoghe a quelle che caratterizzano le prestazioni
svolte dai lavoratori dipendenti; se pertanto, ad esempio, il
“collaboratore” autonomo fosse stato assoggettato nei fatti all’onere di
giustificare le assenze, di rispettare un orario di lavoro, di seguire le
indicazioni del committente, ecc. (tutti indici di una subordinazione),
può diventare elevato il rischio della “conversione” del rapporto in un
contratto a tempo indeterminato.
Le conseguenze anche sul piano economico sarebbero evidentemente, in tal
caso, molto serie (ad es. oneri contributivi, differenze retributive,
ferie, permessi, Tfr).
Segnaliamo, da ultimo, che sono stati presentati parecchi emendamenti alla
legge di riforma, e tra questi c’è anche l’allargamento a due anni (invece
di uno) del periodo temporale di riferimento ai fini della configurabilità
delle condizioni sopra indicate sub a) e b).
Staremo a vedere.

(giorgio bacigalupo)

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