Dall’Irpef all’Imu: le novita’ sugli immobili storici anche in vista degli
acconti in scadenza
Nel nostro Paese, (ancora) così ricco di storia, arte e cultura, quella
degli immobili di interesse storico o artistico, come classificati
dall’art. 10 del D.Lgs. 42/2004, è una categoria tutt’altro che residuale,
nella quale figurano, peraltro, non solo le unità abitative vere e proprie,
ma anche uffici e negozi (basti pensare ai centri storici di molte delle
nostre città).
Ebbene, per tali immobili, si sono recentemente ridisegnate le regole di
tassazione, giungendo, neanche a dirlo, a un tendenziale appesantimento del
prelievo.
Irpef e cedolare secca. A decorrere da quest’anno, a seguito della
conversione in legge del decreto fiscale (D.L. 16/2012 convertito con
modificazioni in legge 44/2012), è stato eliminato il regime agevolato
contenuto nell’art. 11, comma 2, della legge 413/91, secondo il quale “in
ogni caso” il reddito degli immobili di questa categoria viene determinato
applicando la minore delle tariffe d’estimo previste per le abitazioni
della zona censuaria in cui si trova il fabbricato. “In ogni caso”
significa, si badi bene, che il reddito è determinato sempre in questo
modo, indipendentemente dalla circostanza che l’immobile sia locato o meno.
Questo fa sì, anzi faceva sì che per l’immobile, per l’appunto, affittato
(molto probabilmente) per un canone ragguardevole, la tassazione non si
scontasse sul canone effettivamente concordato, ma su una rendita catastale
“artificialmente” ridotta al minimo.
La tassazione (praticamente) irrisoria che ne derivava compensava in tal
modo il proprietario delle spese di manutenzione dell’immobile – fatalmente
più onerose rispetto a quelle riferibili agli immobili “comuni” – e anche
dei numerosi vincoli burocratici che gravano generalmente sugli immobili
storici posti, come sappiamo, sotto tutela, che finiscono certo per
condizionarne l’utilizzo e conseguentemente l’adattabilità dell’offerta
alle variazioni della domanda del mercato delle locazioni.
Dal 2012, però, sono cambiate le regole: è sparito il regime agevolato
appena descritto e, in caso di affitto non in regime d’impresa
(soffermiamoci sull’ipotesi più ricorrente), il reddito imponibile sarà
costituito dal maggiore importo tra la rendita catastale effettiva
rivalutata del 5% e il 65% del canone di locazione; questo sarà pertanto
l’importo soggetto a irpef in dichiarazione o, se si preferisce, a cedolare
secca, con un notevole incremento del carico fiscale, com’è facilmente
intuibile.
Se l’immobile invece non è locato, la tassazione del reddito fondiario è
assorbita, secondo la regola generale, nell’IMU, applicabile sempre a
partire dal 2012.
IMU. Sempre la legge di conversione del D.L. fiscale ha abrogato anche la
disposizione “gemella” a quella dell’art. 11 della legge 413/91, contenuta
nell’art. 2, comma 5, del D.L. 16/93, la quale, in materia di ICI,
disponeva anch’essa che, ai fini del calcolo della base imponibile, si
dovesse partire dalla tariffa d’estimo minore tra quelle previste per le
abitazioni nella zona censuaria nella quale è collocato l’immobile; non c’è
quindi più dubbio (e l’intervento legislativo mirava proprio a fugare ogni
possibile incertezza al riguardo) che questi immobili “entrano” nell’IMU
con la rendita catastale effettiva.
La base imponibile, poi, viene determinata sulla base del moltiplicatore
della categoria catastale di appartenenza (160 per le abitazioni e le
pertinenze; 80 per gli uffici; 50 per i negozi); il D.L. fiscale convertito
in legge, però, viene in aiuto ai proprietari, disponendo che l’imposta sia
liquidata – con le aliquote proprie per ciascuna categoria e con le
detrazioni previste per l’abitazione principale, se l’immobile ha questa
destinazione – sulla base imponibile ridotta della metà.
Per gli immobili non locati, come detto sopra, l’IMU sostituisce anche
l’irpef sulla rendita catastale, rendendo dunque, al pari degli altri
fabbricati, tendenzialmente più oneroso il carico fiscale sugli immobili
locati rispetto a quelli “sfitti” (salve, naturalmente, eventuali riduzioni
di aliquote deliberate da qualche comune “virtuoso”).
Infine, un’ulteriore complicazione deriva dal pagamento dell’acconto irpef
per il quale – entro il prossimo 30 novembre – bisogna versare, come
sappiamo, la seconda “tranche”; è vero infatti che le novità decorrono dal
2012 ma, per espressa disposizione sempre del D.L. fiscale, l’acconto per
quest’anno non può essere calcolato sullo “storico” del 2011,
sostanzialmente più basso, ma deve essere rideterminato sulla base appunto
delle nuove regole in vigore dal 2012.
Ancora un caso, in definitiva, di (inaccettabile) applicazione
“retroattiva” di un balzello nuovo, perché in aperto spregio – una volta di
più – ai principi dello Statuto del contribuente.
(stefano civitareale)
La SEDIVA e lo Studio Bacigalupo Lucidi prestano assistenza contabile, commerciale e legale alle farmacie italiane da oltre 50 anni!