L’export di medicinali – QUESITO
Si possono vendere all’estero medicinali (anche solo S.O.P. o O.T.C.) con
la stessa partita iva della farmacia? Che genere di autorizzazioni sono
necessarie? E ai fini iva che adempimenti ci sono? E, infine, che sanzioni
si rischiano se non si fanno le cose in regola?
L’art. 1, comma 1, lettera r) del d.lgs. 219/2006 (Codice comunitario dei
farmaci ad uso umano) definisce la “distribuzione all’ingrosso di
medicinali” come “qualsiasi attività consistente nel procurarsi, detenere,
fornire o esportare medicinali, salvo la fornitura di medicinali al
pubblico; queste attività sono svolte con i produttori o i loro depositari,
con gli importatori, con gli altri distributori all’ingrosso e nei
confronti dei farmacisti o degli altri soggetti autorizzati a fornire
medicinali al pubblico.”.
E’ chiaro, quindi, che l’attività di esportazione di medicinali, essendo
appunto ricompresa nella distribuzione all’ingrosso, soggiace interamente
alla disciplina di quest’ultima, che è contenuta nel Titolo VII del
richiamato D.Lgs. 219/2006 (artt. da 99 a 112) e che richiede, come è noto,
il rilascio di un’autorizzazione amministrativa, il rispetto di dotazioni
minime, la presenza di requisiti di idoneità dei locali in cui vengono
conservati i medicinali, ecc.
Tuttavia, venuta ormai meno l’incompatibilità – nel commercio dei
medicinali – tra attività di distribuzione all’ingrosso e quella di
fornitura al pubblico in farmacia (art. 100 del d.lgs. 219/2006) l’ingrosso
può ora essere condotto (per usare le Sue parole) “con la stessa partita
iva della farmacia”, potendo tranquillamente costituire un ramo d’azienda
della stessa impresa individuale cui fa capo la farmacia, che diventa a
questo punto l’altro ramo d’azienda, anche se ai fini iva è necessaria la
separazione contabile delle due attività, e sempre nel rispetto – si badi
bene – delle regole appena richiamate.
Quanto ai Suoi dubbi sull’iva, accenniamo telegraficamente che in caso di
cessioni a operatori residenti al di fuori del territorio doganale
comunitario (c.d. cessioni all’esportazione) torneranno applicabili tutte
le disposizioni fiscali previste per questo tipo di operazioni.
Nell’ipotesi di cessioni all’interno di questo territorio (c.d. cessioni
comunitarie), invece, le recenti disposizioni antifrode in materia di
scambi intracomunitari richiedono, oltretutto, una comunicazione preventiva
all’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’inserimento della partita iva in
una particolare banca dati (c.d. VIES) che annovera tutti gli operatori
economici i quali, avendo superato i controlli dell’Agenzia, vengono
ammessi per l’appunto ad operare in ambito comunitario (v. al riguardo
Sediva News del 20/10/2010 e Piazza Pitagora n. 581).
Circa, infine, le “paventate” sanzioni, ricordiamo che sempre il codice
comunitario prevede, oltre a quelle amministrative (che vanno da 3.000 euro
a 18.000 euro: art. 148, comma 13 e 13-bis) per chi non rispetta le
disposizioni previste dal Titolo VII, anche precise sanzioni penali (art.
147, comma 4: arresto da sei mesi a un anno e ammenda da diecimila a
centomila euro) per chi intraprende l’attività di distributore all’ingrosso
senza la prevista autorizzazione.
In conclusione, Le sarà chiaro che un’attività del genere non può essere
avviata “a cuor leggero” e sarà bene pertanto valutare con la giusta
attenzione gli effettivi margini di utile (con tutto quel che vi ruota
intorno) prima di assumersi un tale corredo di oneri e responsabilità.
(stefano civitareale)
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