Note sull’art. 11 dl. liberalizzazioni
Il maxi-emendamento governativo al decreto legge 1/2012 (definitivamente
convertito con la legge 24 marzo 12 n. 27, pubblicata in pari data nella
G.U. n. 71 ed entrata in vigore il giorno successivo) ha sostituito
integralmente l’originario provvedimento e contiene perciò anche un testo
pressoché del tutto nuovo dell’art. 11, la cui rubrica recita tuttora:
“Potenziamento del servizio di distribuzione farmaceutica, accesso alla
titolarità delle farmacie, modifica alla disciplina della somministrazione
dei farmaci e altre disposizioni in materia sanitaria”.
I farmacisti già conoscono sia il vecchio sia il nuovo testo dell’art. 11,
cosicché è possibile limitarsi a segnalarne i soli profili di maggior
rilievo con un loro esame anche comparato, articolato qui di seguito per
singoli temi.
Criterio demografico (comma 1, lett. a)
Il rapporto limite di 3.000 abitanti diventa di 3.300 per tutti i comuni; i
“resti” sono ora utilizzabili – anche se qui, come d’altronde anche in
passato, il comune può discrezionalmente scegliere se farne uso o meno per
l’istituzione di “una farmacia in più” – soltanto se superiori al 50%
(perciò almeno 1.651 abitanti) sempre per tutti i comuni, essendo anche
venuto meno il discrimine dei 9.000 abitanti previsto, per i soli “resti”,
nel testo precedente.
L’equiparazione tra comuni maggiori e minori, con riguardo al criterio
demografico, è dunque ormai assoluta, intervenendo quindi incisivamente su
un principio consolidato da oltre 40 anni e che nel tempo era stato ben
illustrato sia dal Consiglio di Stato sia dalla Corte Costituzionale, la
quale se ne era anche avvalsa recentemente per sancire l’incostituzionalità
della legge pugliese che aveva osato persino rovesciare i due rapporti
limite per comuni maggiori e comuni minori.
Si può affermare con sicurezza che si tratta di un durissimo quanto del
tutto ingiustificato colpo alle farmacie ubicate nei comuni minori.
Il “tetto” dei 12.500 abitanti, pertanto, considerato che non vale più
(comma 13) neppure ai fini della legittimazione delle parafarmacie alla
vendita di quelli che saranno i “nuovi Sop” (e degli altri farmaci loro
concessi, come sappiamo, da questo stesso provvedimento), oggi sopravvive
solo ai fini dell’adozione del criterio topografico (per quel poco spazio
che residua ai fini del suo concreto utilizzo) e per l’istituzione di
dispensari stagionali, vicende che restano infatti ambedue circoscritte
appunto ai comuni minori.
Farmacie in soprannumero in stazioni, ecc. (comma 1, lett. b e comma 10)
Nelle stazioni, nei porti (esclusi quelli turistici e/o per il “diporto”,
come Porto Cervo, Punta Ala, ecc.), negli aeroporti internazionali e nelle
aree di servizio autostradali (purché “ad alta intensità di traffico” e
“dotate di servizi alberghieri o di ristorazione”) l’istituzione di una
farmacia soprannumeraria è ora impedita dall’apertura di una farmacia “a
una distanza inferiore a 400 m.” (in luogo dei precedenti 200).
Quanto ai centri commerciali e alle grandi strutture, la farmacia in
soprannumero, a parte la conferma della condizione dell’insussistenza di un
esercizio a una distanza inferiore a 1.500 m., devono avere una superficie
di vendita (un chiarimento importante, perché sotto questo aspetto il
vecchio testo avrebbe potuto ingenerare qualche problema interpretativo)
superiore ai 10.000 m.
Inoltre, il numero complessivo delle farmacie così aperte in soprannumero
non deve superare il 5% – un “tetto” introdotto proprio dall’emendamento –
del numero complessivo delle “sedi, comprese le nuove” (istituite sul
territorio regionale come sembra preferibile, o su quello nazionale?).
Su tutte queste farmacie soprannumerarie c’è comunque la prelazione
comunale fino al 2022, ma il Comune non può cederne né la titolarità e
neppure – una novità pienamente condivisibile – la gestione, e dunque
parrebbe che ne sia interdetto anche il conferimento in una società di
capitali costituita tra il Comune e un qualunque terzo.
Revisione ordinaria della pianta organica (comma 1, lett. c)
In un parere espresso in data 21 marzo 2012, l’Ufficio legislativo del
Ministero della Salute assume – tra l’altro – l’avvenuta soppressione del
centenario istituto della “pianta organica”; è una tesi forse astrattamente
configurabile (perché il vecchio art. 2 della legge 475/68 – che parlava
appunto di piante organiche – è stato interamente sostituito secondo il
disposto sub c) del comma 1 dell’art. 11), ma sembra incomprensibile quel
ripetuto riferimento a “sedi farmaceutiche”, operato qui e là dallo stesso
art. 11, ove esso non postuli fatalmente una… pianta organica, o qualcosa
che molto le si avvicina.
Vi è scritto, è vero, che il Comune “…identifica le zone nelle quali
collocare le nuove farmacie”, ma anche qui “zone” non può stare
evidentemente che per sedi: anche per ogni nuova farmacia sarà insomma
ineludibile – secondo il testo attuale dell’art. 11, che precisa infatti
trattarsi di “zone nelle quali…” – configurare una porzione del territorio
comunale al cui interno il singolo esercizio dovrà essere ubicato (o
“collocato”). A meno che non si preferisca tornare alle “sedi promiscue” di
una volta…
La pianta organica, o quel che sarà, è comunque sempre su base comunale e
continua tuttora ad essere soggetta a revisione ordinaria biennale (cioè,
“entro il mese di dicembre di ogni anno pari”, come è da oltre 40 anni),
che tuttavia diventa definitivamente un atto di competenza del Comune (e
quindi della Giunta), e sottratto conseguentemente alla Regione. Qui però
viene prevista espressamente la partecipazione al procedimento (sia pure in
funzione ausiliaria del Comune, come nei fatti è sempre stato) dell’Asl e
dell’Ordine; questo nella legge statale non era stato fino ad oggi
contemplato, ma le varie leggi regionali generalmente già prevedevano il
parere obbligatorio sia dell’Ordine che delle Asl.
Inoltre, vengono ora impartite – e in questa circostanza la scelta del
legislatore è di grandissimo rilievo, dato che per la prima volta si
indirizza il concreto esercizio della (sinora amplissima) discrezionalità
nell’utilizzo del criterio demografico – precise indicazioni alla pubblica
amministrazione, perché nell’identificazione delle “zone nelle quali
collocare le nuove farmacie” diventa necessario, oltre che aver riguardo
“al fine di assicurare un’equa (loro) distribuzione sul territorio” (che è
sempre stato naturalmente lo scopo primario di una qualsiasi revisione di
pianta organica), tenere altresì conto “dell’esigenza di garantire
l’accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti
in aree scarsamente abitate”.
Sono due diversi, anche se complementari, profili di natura pubblicistica,
che finiscono perciò per assumere un ruolo centrale nei provvedimenti
comunali, cosicché l’eventuale carente e/o negligente loro considerazione
potrà costituire un serio motivo di impugnativa al Tar.
La revisione straordinaria (comma 2)
Nel comma 2 del testo originario dell’art. 11 si richiamava, se non altro,
una “approvazione straordinaria delle piante organiche delle farmacie”; in
quello definitivo, invece, c’è un silenzio terminologico assordante su
questo nodo cruciale dell’intero art. 11, che pure può segnare – in appena
tre o quattro righe – il destino delle 17.800 farmacie oggi esistenti.
È arduo comprendere (anche volendo convenire per un solo istante con il
Ministero sulla caduta della pianta organica come tale) la fine sostanza
della grandiosa laconicità della disposizione, dato che – quali che siano
le ragioni della straordinaria accelerazione impressa (dal comma 2 come
anche dal successivo comma 3) alla fase di attuazione del processo di
proliferazione delle farmacie voluto dal decreto legge – non è affatto
concepibile, e stride anzi con i principi non solo di settore, che la
collocazione delle infinite nuove sedi farmaceutiche sul territorio possa
essere decisa all’interno magari di un ufficio o ufficietto del palazzo
comunale, senza la benché minima partecipazione di un qualsiasi altro ente
o organismo esponenziale di interessi, pubblici o privati, e quindi
sostanzialmente a porte chiuse.
Eppure, stando a quel che leggiamo, c’è il rischio che la maxi-revisione
straordinaria (di questo praticamente si tratta) della pianta organica o
simile (anch’essa di esclusiva competenza comunale), che per di più si
rivelerà certo per molti anni l’unica autentica revisione, possa risolversi
in una mera raccolta di “dati” da parte del Comune, chiamato infatti
soltanto a individuare – senza dover in principio sentire chicchessia e
appunto “inaudita altera parte” – “le nuove sedi farmaceutiche disponibili
nel proprio territorio” (dopo aver evidentemente diviso per 3.300 il numero
degli abitanti-Istat al 31.12.10 e tenuto conto (pur discrezionalmente,
come accennato) anche dei “resti” ove superiori a 1.650 abitanti) e a
trasmettere tali “dati” alla Regione nei 30 gg. successivi all’entrata in
vigore della legge di conversione (dunque, entro il prossimo 24 aprile).
Purtroppo, il ricordato parere ministeriale si occupa soltanto della
“revisione ordinaria” e non affatto di quella “straordinaria” (perché –
dobbiamo credere – il “gruppo interregionale” una questione del genere, pur
fondamentale, non ha ritenuto necessario proporla), e quindi non possiamo
sapere come si comporteranno i Comuni e/o che indicazioni riceveranno.
Però, se è vero che è sciaguratamente passata l’idea – neppure
lontanamente immaginabile qualche mese fa – della “farmacia sotto casa” di
ogni cittadino, è certamente coerente con quest’idea che il massiccio
incremento dell’offerta di farmaci imposto dal provvedimento tenda almeno
ad assicurare l’assistenza farmaceutica “altresì” (se non soprattutto)
nelle zone presuntivamente più bisognose perché sinora da questo punto di
vista meno tutelate, come appunto le “aree scarsamente abitate”, di cui
pertanto anche le sedi istituite e collocate sul territorio con la maxi
revisione dovranno ragionevolmente preoccuparsi (in fondo, a ben guardare,
il comma 2 richiama i “parametri di cui al comma 1”, nei quali potrebbero
rientrare senza grandi sforzi, oltre al nuovo dato demografico, anche le
due esigenze pubblicistiche cui si è accennato).
Allo stesso modo, ove in qualche comune siano state istituite in zone
generalmente di nuova formazione – per decentramento, ex art. 5 della legge
362/91, di altre ubicate magari in aree demograficamente impoveritesi –
alcune sedi farmaceutiche, che tuttavia risultino ancor oggi per una
qualunque ragione inassegnate (Roma ne annovera, ci pare, circa 60!),
sembra indiscutibile che proprio quelle sedi siano le prime ad essere ora
“convertite” in sedi di nuova istituzione, perché il criterio urbanistico
ha per definizione evidenziato in tali zone un’assistenza farmaceutica
carente che la maxi revisione è ora chiamata a integrare.
Queste e altre considerazioni potranno in ogni caso essere dedotte dalle
Asl e dagli Ordini (se il Comune non li sentirà), come pure dalle
Associazioni sindacali e dai singoli titolari di farmacia, anche nel micro
procedimento “segreto” che condurrà alla revisione straordinaria; la legge
sul procedimento amministrativo (legge 241/90) questo lo permette e a noi
sembra valga senz’altro la pena che chi è portatore di un qualunque
interesse anche semplicemente materiale dispieghi in modo formale il suo
intervento, tenendo ovviamente ben conto dei tempi strettissimi a
disposizione.
Il concorso straordinario (commi 3, 4, 5, 6, 7 e 9)
Le Regioni, entro 12 mesi dallo scorso 25 marzo, “provvedono ad assicurare…
la conclusione del concorso straordinario e l’assegnazione delle sedi
farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 e di quelle vacanti” (è
esclusa, sia per le une che per le altre, la prelazione comunale).
Entro 60 giorni dalla ricezione (anche se il testo dice erroneamente
“dall’invio”…) di quei “dati” da parte dei Comuni del proprio territorio,
la Regione (i concorsi saranno pertanto 21, di cui 19 regionali e 2 di
Trento e Bolzano, mentre il concorso ordinario dovrebbe senz’altro restare
“provinciale per titoli ed esami”, come recita l’art. 4 della l. 362/91)
bandisce “il concorso straordinario per soli titoli (nel testo precedente
era per titoli ed esami) per la copertura” di tutte le sedi (nuove e
vecchie) sopra ricordate, fatte salve quelle vacanti per cui sia stato
precedentemente bandito un concorso in ordine al quale, però, siano state –
alla data del 25 marzo 2012 – “già fissate le date delle prove”.
A questo punto c’è il problema di chi è ammesso e di chi non è ammesso a
partecipare al maxi-concorso. Per quanto riguarda gli ammessi, è
strabiliante che vi figuri il “titolare di farmacia soprannumeraria”;
potrebbe infatti trattarsi soltanto del titolare di una farmacia rurale
istituita in soprannumero ex art. 104 TU. con il criterio topografico,
perché diversamente, quando cioè la soprannumerarietà scaturisca, ad
esempio, dall’avvenuto decremento demografico di un comune, non è
individuabile la “farmacia in soprannumero” pianta organica del comune e
non una in particolare (comunque anche il Ministero della Salute la pensa
così). Se non che, quante saranno le farmacie che risulteranno ancora in
soprannumero dopo l’applicazione del nuovo unico quorum, con il connesso
riassorbimento di sedi soprannumerarie preesistenti? Ma tant’è.
Invece, quanto ai non ammessi, è una pessima (anche se da più parti
invocata) soluzione anche dal punto di vista giuridico quella di escludere
“i soci di società titolari”; il rischio che questa esclusione sia
censurata dalla Corte Costituzionale può infatti non rivelarsi una semplice
ipotesi.
Per di più, il socio che, come tale, sarebbe escluso, ma che – come gli è
consentito – risulti titolare di una parafarmacia, e quindi, come tale,
ammesso, che fine fa? È ragionevole ritenere che egli non sia ammesso a
partecipare, ma i dubbi su questa come su altre specifiche fattispecie
possono essere tanti.
È anche escluso dal concorso straordinario (ne parla il successivo comma 5)
il farmacista che ha compiuto 65 anni (invece che 60 e si tratta di una
modifica attesa) alla data di scadenza del “termine per la partecipazione
al concorso prevista dal bando” (in realtà, dovrebbe trattarsi del “termine
per la presentazione della domanda di partecipazione prevista dal bando”);
anzi proprio questo è il termine entro il quale, secondo i principi
generali, il concorrente deve possedere i requisiti richiesti o non
possedere quelli preclusivi, e quindi chi ha interesse dovrà liberarsi del
fardello preclusivo appunto entro quel termine (ad esempio, cedendo
tempestivamente a un terzo la sua quota di partecipazione a una società).
Ed è estremamente accelerato anche il termine per la nomina della
Commissione esaminatrice, che è infatti di 30 gg. dalla data di
pubblicazione del bando.
Perciò, riassumendo, sempre a far data dal 25 marzo 2012 abbiamo: entro 30
gg., la trasmissione dei “dati” dai Comuni alla Regione; entro 60 gg. dalla
ricezione dei “dati”, l’indizione da parte della Regione del maxi concorso;
entro 30 gg. dalla pubblicazione del bando, la nomina della Commissione;
entro il 24 aprile 2013, la conclusione del concorso e l’assegnazione delle
sedi.
Non sono termini meramente ordinatori, perché il successivo comma 9 prevede
– in caso di ignavia – l’intervento sostitutivo della Regione al Comune e
di un Commissario governativo alla Regione.
Inoltre, al concorso straordinario si applicano, in quanto compatibili, le
disposizioni vigenti sui concorsi oltre a quelle diversamente spalmate
nell’art. 11, ma è consentita la partecipazione contemporanea a non più di
due dei 21 concorsi previsti (per i concorsi ordinari resta evidentemente
in piedi l’attuale maggior limite dei tre concorsi).
Sub a) e sub b) del comma 5 troviamo però alcune deroghe al Dpcm. 298/94 in
tema di valutazione dell’esercizio professionale nel concorso
straordinario: vengono, cioè, più che gratificati, oltre al fantomatico
titolare “soprannumerario” (che tuttavia può essere soltanto quello di una
farmacia istituita in soprannumero ex art. 104 TU.San. e non riassorbita
nella maxi revisione con l’applicazione del nuovo rapporto limite di 3300
abitanti), anche i titolari delle parafarmacie con la loro equiparazione,
maggiorazioni incluse, ai rurali sussidiati; anche i collaboratori delle
parafarmacie vengono equiparati ai collaboratori di farmacia, sempre “ivi
comprese le maggiorazioni” (un’equiparazione, sia la prima che la seconda,
facilmente spiegabile…).
Infine, entro 15 giorni dall’approvazione della graduatoria regionale
(espressamente e giustamente definita “unica”, e nella quale “a parità di
punteggio, prevale il candidato più giovane”), i vincitori devono accettare
o meno la sede offerta. La graduatoria vale per due anni dalla sua
pubblicazione e “deve essere utilizzata con il criterio dello
scorrimento…”: in pratica, differentemente dal criterio dettato dalla legge
28 ottobre 1999 n. 389, nel concorso straordinario sembra finiscano per
rientrare anche le sedi che – nel corso o per effetto dello scorrimento
della graduatoria e del gioco delle rinunce di diritto per accettazione di
una sede a concorso – si rendano “vacanti”.
In sostanza, parrebbe che, se risulta assegnatario un titolare di farmacia
rurale sussidiata o un titolare di farmacia soprannumeraria, anche
quest’ultima rientri nel calderone delle sedi da offrire ai concorrenti
utilmente graduati nel concorso straordinario entro il biennio di efficacia
della graduatoria.
C’è, da ultimo, la disposizione che tratta della partecipazione in forma
associata – da parte di due o più concorrenti – a tutti i concorsi per
sedi farmaceutiche (e non soltanto quindi al concorso straordinario), ma è
circoscritta ai soli under 40 (e, “ai soli fini della preferenza a parità
di punteggio”, cui si è fatto cenno, “si considera la media dell’età dei
candidati che concorrono per la gestione associata”).
Non è una disposizione felicissima ma, rispetto al testo del decreto legge,
ha quantomeno il pregio di ridurre a un purgatorio per soli 10 anni (invece
che a un inferno per l’eternità…) l’obbligo da parte dei vincitori di
conservare la gestione associata della farmacia “su base paritaria”.
Orari, turni, sconti (comma 8)
Il comma 8 ricalca pedissequamente il comma 6 del vecchio testo, come se,
quindi, a tutte le preoccupazioni espresse dai farmacisti su questi due
temi così scottanti e sofferti (ai quali, per di più, le parafarmacie erano
e restano del tutto estranee…) abbia fatto eco la più tenace indifferenza
da parte delle Commissioni del Senato e di chi ha redatto il maxi-
emendamento.
I problemi restano perciò qui giganteschi e irrisolti, e daranno filo da
torcere a tutti in questo momento di transizione, già di per sé drammatico,
da un sistema farmacia ad un altro.
Quanto a “orari e turni”, dovendo in questa sede trascurare la questione
della legittimità costituzionale di una disposizione così preclusiva di
qualunque intervento del legislatore regionale (presto, comunque, ne
sapremo di più perché alcune Regioni hanno già preannunciato iniziative
dinanzi alla Consulta), la “liberalizzazione” in materia sembra sancita
nel comma 8 (che in sole cinque righe riesce cinicamente ad abbattere sia
il pilastro degli “orari e turni” programmati, come quello del prezzo fisso
del farmaco) in termini assoluti, senza quindi minimamente distinguere tra
“orari” e “turni”.
Come sappiamo, tuttavia, molte Regioni non la pensano così (verosimilmente
anche per presidiare quanto più possibile le loro prerogative anche
costituzionali) e altre hanno chiesto il parere della loro avvocatura o
(come la Sicilia) di quella dello Stato; ma per lo più tendono a permettere
il libero ampliamento degli orari di apertura soltanto nei giorni in cui la
farmacia è aperta, negandolo in radice in quelli in cui l’esercizio è
chiuso per l’entrata in funzione dei turni, come è il caso, ad esempio,
della Regione Puglia, secondo la quale “durante tali turni obbligatori non
è consentito, alle farmacie che non sono di turno, esercitare la facoltà di
“aprire in orari diversi da quelli obbligatori”.
Costoro potrebbero magari avere anche ragione, ma temiamo sia invece
doveroso pensare che l’espressione “orari diversi” debba piuttosto essere
intesa, come il suo stesso significato letterale lascia comunque bene
intendere, nel senso che una farmacia, fermo il rispetto dei turni
(festivi, pomeridiani, notturni ed estivi), ha facoltà di tenere aperto
l’esercizio (anche) in qualsiasi orario diverso da quello di apertura
obbligatoria per turno, e dunque non soltanto dalle ore 00 alle ore 24 di
tutti i giorni della settimana da lunedì a venerdì, ma anche dalle ore 00
alle ore 24 del sabato, della domenica, dei giorni festivi infrasettimanali
e di quelli di “ferie”, perché per quella farmacia – se non tenuta a
osservare l’apertura per turno – anch’essi si rivelerebbero “orari diversi
da quelli obbligatori”.
Anche la Regione Lazio, per portare un altro esempio, che pure aveva
manifestato lo stesso orientamento con una nota del 7/2/2012, ha ora
corretto decisamente il tiro (nota del 10/4/12), facendo espressamente
“salva la possibilità per tutte le farmacie di aprire nei giorni festivi e
nelle domeniche” e anche “di ridurre il periodo di ferie a piacimento”
(fino, se ne deve dedurre, ad azzerarlo), ma soltanto – è una precisazione
del tutto condivisibile – “all’interno del periodo di competenza”, negando
quindi opportunamente alla farmacia la facoltà, dapprima, di contrarre o
azzerare le giornate di chiusura ad essa “assegnate” come “ferie” e, poi,
effettuare la chiusura allo stesso titolo in un periodo diverso.
C’è inoltre anche il problema dell’applicabilità del precetto, che, secondo
taluno, non potrebbe infatti prescindere dall’entrata in vigore di nuove
disposizioni regionali che a quel precetto si uniformino.
Ma neppure su questo si può convenire, perché crediamo che l’art. 11 abbia
dettato, in sostituzione di quello enunciato dall’art. 119 del TU. San.
(obbligo del titolare di farmacia di mantenerne “ininterrottamente“ –
avverbio da riferirsi peraltro, come ha chiarito a suo tempo la Corte
Costituzionale, al servizio farmaceutico nel suo complesso e non alla
singola farmacia – il regolare esercizio “secondo le norme ecc.”), un nuovo
“principio fondamentale” che è però formulato in termini che non possono
far granché dubitare della sua immediata prescrittività (“…non
impediscono…”, recita perentoriamente la disposizione) e dinanzi al quale,
pertanto, le disposizioni regionali di dettaglio, ove con esso in
contrasto, devono ritenersi “tout court” caducate, senza necessità che lo
sancisca la Corte su rinvio di un Tar.
Si pone, infine, la questione del “cartello”, generalmente imposto alle
farmacie (abbiamo sotto gli occhi le norme regionali lombarde e laziali),
che deve essere collocato all’interno dell’esercizio in posizione ben
leggibile e illuminata dal tramonto all’alba, e indicare le farmacie di
turno, possibilmente in ordine di vicinanza, nonché il proprio orario di
apertura e chiusura giornaliera.
La domanda, allora, è: il “cartello” può/deve ancor oggi limitarsi ai
contenuti ora ricordati, o va adeguato alle eventuali scelte
“liberalizzatrici” delle varie farmacie viciniori?
A noi sembra che l’unica soluzione realisticamente praticabile in questa
fase di sofferta transizione, e comunque l’unica pienamente conforme ai
precetti regionali (perlomeno sino a quando le opzioni individuali non
saranno fatte proprie da un provvedimento amministrativo e/o la Regione non
avrà legiferato in termini diversi ma pur sempre nel rispetto dell’art.
11), sia nel senso che la farmacia debba comportarsi esattamente come
sinora si è comportata, indicando dunque nel famoso “cartello” soltanto gli
esercizi viciniori aperti per turno obbligatorio (pomeridiano, prefestivo,
festivo, notturno e feriale) oltre all’orario di apertura e chiusura
giornaliera da essa stessa osservato (perciò, attenzione, in caso di
ampliamento di quello obbligatorio, verrà indicato il nuovo orario).
Resterebbe irrisolto il caso di rinunce (tutt’altro che ipotetiche, com’è
facile immaginare…) di una o più farmacie alla continuazione del servizio
fino ad oggi volontariamente espletato – laddove evidentemente tutto questo
è contemplato in leggi regionali e/o provvedimenti di Comuni e/o Asl – in
orari diversi da quelli obbligatori (soprattutto, pomeridiani, prefestivi e
notturni); senonché nessuna disposizione regionale, per quanto ne sappiamo,
estende il contenuto del “cartello” anche a questi esercizi e comunque qui
ci pare che sia al momento eccessivamente oneroso per la farmacia adattare
volta a volta il “cartello” alle tante possibili variazioni di orario delle
altre farmacie, e che quindi possa essere preferibile, anche per ragioni
pratiche, rinviare eventuali soluzioni diverse a tempi migliori e
soprattutto più stabili dal punto di vista normativo.
Come si vede, si rende necessario sotto molti profili un pronto intervento
del legislatore regionale, che, dopo aver organizzato la raccolta sul piano
locale dei loro “desiderata”, renda per le farmacie – questo il punto
d’arrivo per noi auspicabile – vincolanti le scelte da ciascuna di loro
effettuate (poniamo, per un anno solare), così da permettere a Sindaci,
Asl, Ordini e Associazioni sindacali di categoria di modulare o rimodulare
convenientemente i vari turni obbligatori.
Nell’attesa, però, piuttosto che lanciarsi a capofitto in una “concorrenza
selvaggia e in un regime di perenne apertura” (come paventava tempo fa un
farmacista comprensibilmente preoccupato), e anche, chissà, in un
dispendioso “testa a testa” con la Regione o qualsiasi altro organismo, può
valere la pena affrontare l’intera vicenda con equilibrio e cautela,
navigando a vista.
E poi la farmacia, questo non va mai dimenticato, ha vissuto per parecchi
decenni in un regime di orari e turni programmato – complemento
indefettibile (almeno sinora) di un sistema fondato sul contingentamento
degli esercizi – e non potrà perciò soffrire più di tanto se ancora per
qualche tempo si conformerà ad orientamenti pur ritenuti scarsamente
aderenti al comma 8 dell’art. 11; del resto, quanto prima il legislatore
regionale dovrà piegare le proprie disposizioni di dettaglio (vecchie e
nuove) al “principio fondamentale” sancito nel provvedimento
“CresciItalia”, e per tutti scatterà allora il diritto di ampliare
liberamente gli orari di apertura oltre quelli obbligatori.
Quanto agli “sconti”, c’è poco da commentare perché la disposizione almeno
qui è chiarissima; semmai può essere opportuna una migliore riflessione
sulla diversa formulazione che sul punto specifico adottano, da un lato, il
comma 3 dell’art. 5 della legge Bersani del 2006 e il comma 4 dell’art. 32
del decreto legge “SalvaItalia” (ambedue prescrivendo che “gli sconti siano
esposti in modo leggibile e chiaro al consumatore e siano praticati a tutti
gli acquirenti”) e, dall’altro, questo comma 8 dell’art. 11 (secondo cui,
più semplicemente, “Le farmacie possono praticare sconti sui prezzi di
tutti i tipi di farmaci e prodotti venduti pagati direttamente dai clienti,
dandone adeguata informazione alla clientela”). È una significativa
diversità di vocabolario che si ha l’impressione comporti una diversità
altrettanto significativa anche in ordine all’area di applicazione delle
une e dell’altra: argomento che merita certamente un approfondimento in
altra occasione.
La durata della gestione ereditaria (comma 11)
È una correzione che, funambolica la sua parte (poteva, come tante altre,
essere redatta molto meglio), va vista certamente con favore, e quindi, per
lo più, gli eredi (sia del titolare che del socio) tenderanno a presentare
la denuncia di successione a ridosso della scadenza del termine legale di
un anno, così da beneficiare di una durata complessiva pressoché di 18
mesi, dunque di sei mesi soltanto inferiore al biennio previsto sino al 23
gennaio.
Occorrerà evidentemente documentare la data di presentazione della
denuncia, ma a questo provvede in via telematica la stessa Amministrazione
finanziaria.
Le informative al paziente sugli equivalenti (comma 12)
È alleggerito il lavoro del medico e diversamente formulato quello del
farmacista.
È confermata la modifica al comma 9 dell’art. 11 del decreto legge 78/2010
e l’Aifa viene incaricata di revisionare le attuali modalità di
confezionamento dei farmaci per identificare confezioni ottimali, anche di
tipo monodose, in funzione delle patologie da trattare.
Parafarmacie (commi 13, 14 e 15)
Come accennato, sono ora legittimate alla vendita “allargata” (che dovrebbe
riguardare, secondo le indicazioni degli ultimi giorni, oltre 200 farmaci
della fascia C “delistati” dall’Aifa) anche quelle ubicate in comuni con
meno di 12.500 abitanti o comunque in specifiche aree rurali.
Inoltre, viene loro concesso di vendere al pubblico anche i farmaci
veterinari (“ancorché dietro presentazione di ricetta medica, se prevista
come obbligatoria”, e questo sembra preoccupare i farmacisti perché
potrebbe costituire un pericoloso precedente), esclusi però quelli di cui
al TU. sugli stupefacenti, e di “allestire preparazioni galeniche
officinali che non prevedono la presentazione di ricetta medica, anche in
multipli, in base a quanto previsto nella FU. italiana o nella farmacopea
europea” (perciò, la spedizione della ricetta relativa alle altre
preparazioni magistrali resta una prerogativa della farmacia).
Inspiegabilmente, però, il possesso dei requisiti che prescriverà il dm.
previsto nell’art. 32 del decreto legge “SalvaItalia” è una condizione
richiesta espressamente soltanto per le preparazioni galeniche e non invece
per la vendita dei farmaci veterinari (che quindi le parafarmacie possono
cedere al pubblico sin dal 25 marzo scorso).
Dotazione minima di personale (comma 16)
È stato modificato il comma 12 del decreto legge: ora, stando alla nuova
disposizione, sarà la prossima (?) Convenzione farmaceutica a stabilire “in
relazione al fatturato ecc.” la “dotazione minima di personale di cui la
farmacia deve disporre ai fini del mantenimento della convenzione” con il
Ssn.
La sostanza, però, non sembra cambiare più di tanto e le perplessità
restano.
La sostituzione obbligatoria del direttore over 65 (comma 17)
È una bizzarra ma in realtà disgraziata disposizione conclusiva, perché il
“raggiungimento del requisito di età pensionabile” è una barriera
ingiustificabile (e da scrutinare anch’essa alla luce della Costituzione),
tanto più se è apposta – come qui – a prescindere dalle condizioni fisiche
del titolare.
Leggendo il testo, avremmo un ulteriore caso – oltre a quelli previsti
nell’art. 11 della legge 475/68, come modificato dall’art. 11 della legge
362/91 – di sostituzione del titolare nella (sola?) conduzione
professionale della farmacia; si tratta questa volta, è vero, di un’ipotesi
di sostituzione obbligatoria, ma, differentemente da tutti gli altri casi,
la sostituzione dell’over65 (pur se l’età pensionabile del farmacista
dovrebbe essere anch’essa elevata a 70 anni, e però gradualmente in otto o
dieci anni) può in tale specifica evenienza protrarsi legittimamente anche
ben oltre i previsti 5 anni continuativi – o 6 anni nell’arco di un
decennio – e permettere al titolare di restare tale sino all’ultimo giorno
di vita, quali che siano le sue condizioni di salute.
Certo, la piccola farmacia (rurale o urbana) condotta, gestita e diretta
soltanto dal suo titolare, senza quindi nessun collaboratore farmacista,
sarà costretta ad avvalersi del direttore sostituto, gravando in modo
talora decisivo sul bilancio dell’esercizio, impossibilitato a sostenere
questo nuovo onere.
E purtroppo, almeno per come il comma 17 è ora formulato, la sostituzione
parrebbe obbligatoria anche per il titolare in forma individuale over 65
(anche il parere ministeriale è in questo senso, e le relazioni dei Servizi
Studi delle Camere non possono di per sé essere d’aiuto); ma si può sperare
che il buon senso finisca per prevalere, magari con le sembianze di un
intervento legislativo diretto – come quello predisposto dallo stesso
ufficio legislativo del Ministero – a rinviare all’1/1/2015 la decorrenza
dell’efficacia del precetto e a sottrarvi nel contempo i titolari in forma
individuale (e tutti i soci in caso di titolarità in forma sociale) di
farmacie rurali sussidiate .
Comunque, ove si ritenga che l’under65 possa qui essere chiamato a
sostituire l’over65 (ovviamente per mera scelta di quest’ultimo) anche
nella “conduzione economica” dell’esercizio, si potrebbero aprire,
perlomeno quando la farmacia sia condotta individualmente, prospettive del
tutto nuove quanto proficue – anche sotto l’aspetto giuridico –
nell’organizzazione della farmacia (l’affitto e il comodato d’azienda, ad
esempio, sono in questi casi figure contrattuali pienamente legittime).
Qualcuno teme tuttavia che la disposizione possa rivelarsi una breccia
(tipo, per intenderci, il decreto Storace in tema di sconti sui farmaci,
cui infatti è seguita questa liberalizzazione assoluta del loro prezzo di
vendita…) inferta al principio di indissociabilità tra titolarità e
conduzione della farmacia; ma in realtà anche questa, come accennato, è
un’ipotesi di sostituzione che si aggiunge alle altre già previste
nell’ordinamento da più di 40 anni e non c’è quindi una ragione precisa, se
non subliminale, per sospettare il disegno di un “grande vecchio” anche
qui.
Ma su tutti questi temi (e su altri ancora) saranno naturalmente necessari
in prosieguo maggiori approfondimenti.
(gustavo bacigalupo)