Sediva News del 3 settembre 2007
La comunione ereditaria sulla quota sociale – QUESITO
E’ deceduta da qualche giorno – senza lasciare alcuna disposizione
testamentaria – nostra madre, che possedeva il 72% del capitale di una
snc costituita quattro anni fa con me e mia sorella (ciascuno di noi
due ne possiede il 14%).
Considerato che in successione sono caduti anche degli importanti immobili,
oltre ad una somma di denaro, e che all’eredità concorrono anche papà ed
altri due fratelli, vorremmo sapere come comportarci, tenendo conto che
sarebbero tutti d’accordo nel consentire a noi due di subentrare nella
quota sociale.
Come Le è stato sinteticamente anticipato con una e.mail (lo abbiamo
ritenuto eccezionalmente opportuno, dato che i tempi, come vedremo, erano
allora molto stretti), in queste vicende il vero problema – per di più da
risolvere con la massima urgenza – è quello di evitare che la quota
sociale (unitamente o meno al residuo asse) sia definitivamente assorbita
dalla comunione ereditaria, perché questo comporta un subentro di tutti gli
eredi – inutile, quando vi siano adeguate intese contrarie tra gli
interessati – nella (con)titolarità della quota, con conseguenze, anche
dal punto di vista fiscale, fastidiose quanto onerose.
Intanto, chiariamo subito che qui, trattandosi appunto di una comunione
c.d. pro indiviso (su tutta la massa: immobili, denaro, e naturalmente
quota sociale), i partecipanti non acquisterebbero – ciascuno – una
frazione della quota (il bene che ora ci interessa) corrispondente alla
rispettiva percentuale di eredità (che sarebbe, per vostro padre, pari
ai 4/12 della quota stessa ed al 24% del capitale sociale, e, per
ognuno dei quattro figli, pari ai 2/12 della quota ed al 12% del capitale),
ma tutti ne diventerebbero (con)titolari per l’intero e con il diritto di
possederla perciò per l’intero, cosicché quelle percentuali
costituirebbero soltanto la misura del diritto di ciascun coerede sull’
intera quota sociale.
Quindi, ad esempio, la quota del 14% (del capitale) ora posseduta dai due
figli farmacisti – contrariamente a quel che potrebbe sembrare – non si è
affatto elevata, per effetto del decesso, al 26% (14% + 12%), anche se –
partecipando alla comunione pro indiviso sulla quota in ragione del 12%
(sempre del capitale) – a ciascuno di loro gli utili sociali finirebbero
nel concreto per competere proprio nella misura totale del 26%, dato che il
14% gli perverrebbe direttamente dalla società e il 12% invece dalla
comunione come tale (alla quale infatti spetterebbe in principio il
complessivo 72% degli utili).
Ora, le comunioni (specie quelle ereditarie) possono perpetuarsi –
sull’intero asse o su parte di esso – per anni o per secoli, senza che i
coeredi avvertano la necessità di scioglierla, e questo si verifica più
frequentemente con riguardo agli immobili (gli stessi condomini sugli
edifici ne costituiscono – per certi versi – un esempio che è sotto gli
occhi di tutti) che spesso restano a lungo in proprietà indivisa tra i
loro componenti, e magari anche tra i loro eredi e/o tra gli eredi degli
eredi.
Si verifica meno spesso, invece, con riguardo ai beni mobili e al denaro,
per i quali è naturalmente più agevole procedere allo scioglimento della
comunione ricorrendo all’unica
figura che la può sciogliere che è la divisione, perché dividere tra più
persone denaro e/o titoli mobiliari è generalmente avvertita come
un’esigenza da tutti i partecipi e non è del resto arduo procedervi, se
del caso anche brevi manu.
Per la quota di una società titolare di farmacia, poi, il discorso viene
ulteriormente complicato dal termine perentorio di due anni che il “primo”
decreto-Bersani ha recentemente assegnato alle compagini ereditarie che vi
subentrino, perché entro quel termine – se intendono evitare la
liquidazione (secondo i criteri eventualmente previsti dallo statuto) della
quota da parte dei soci superstiti, perché altra conseguenza non
riusciremmo a vederla – gli eredi devono: a) trasferire l’intera quota
(peraltro, le cessioni parziali porrebbero altri problemi che non si
possono esaminare in questa sede) ad uno o più terzi “idonei” ad
acquistarla (ma sempre con un occhio allo statuto, che può prevedere
infatti evenienze diverse); b) ovvero, previa divisione contrattuale,
sciogliere la comunione assegnandola ad uno o più dei suoi componenti.
E allora, se le cose stanno così, e se, soprattutto, i coeredi – come nel
vostro caso – sono già d’accordo sulla destinazione della quota ad alcuni
di voi, la partecipazione della comunione come tale alla società va
scongiurata, e anzi va scongiurata addirittura dall’apertura della
successione, facendo sì, cioè, che essa non abbia – come tale, ripetiamo –
posseduto la quota neppure per un istante.
Diversamente, infatti, non soltanto anche gli altri coeredi si troverebbero
evidentemente assegnatari, finché dura la comunione sulla quota, della
porzione degli utili corrispondente alla rispettiva percentuale di
partecipazione (e questo non rappresenterebbe necessariamente un problema),
ma – e questo invece probabilmente lo diventerebbe – potrebbero essere
costretti, entro il biennio, a farsi carico – in ordine al valore della
rispettiva frazione di quota sociale – sia delle imposte di successione
(salva la consistente “franchigia” di legge, e ferma in ogni caso l’estrema
esiguità dell’imponibile per l’irrilevanza dell’avviamento aziendale in
sede di valutazione) e sia, in particolare, delle imposte dirette sul
capital gain, cioè sulla differenza tra il valore nominale di quella
frazione e quello effettivo attribuito nel contratto divisionale.
Queste conseguenze possono però essere evitate, come osservavamo
all’inizio, procedendo al più presto – ed esattamente entro 30 giorni dal
decesso (il termine imposto dalla norma fiscale) – ad una divisione
parziale o a stralcio, avente quindi ad oggetto la sola quota sociale,
previa l’altrettanto sollecita presentazione della dichiarazione di
successione del de cuius, se del caso anch’essa a stralcio.
Nel contratto di divisione – dove il valore globale dell’asse può essere
indicato anche in via del tutto presuntiva – la quota dovrebbe essere
assunta al valore effettivo, sulla base del quale verrebbero determinate
nel rogito le giuste quote divisionali, perciò quanto spettante a ciascun
comunista-coerede, e che nel vostro caso corrisponderebbero – lo si è
accennato – ai 4/12 dell’intero per vostro padre ed ai 2/12 per ciascuno
dei quattro figli.
Pertanto, per effetto dell’assegnazione della quota in pari misura (anche
se questo non è essenziale) ai due coeredi farmacisti (ognuno dei quali
risulterebbe assegnatario della sua metà, e quindi del 36% del capitale
sociale, che innalzerebbe a sua volta al 50% la complessiva partecipazione
di ciascuno di loro alla società), costoro sarebbero tenuti ex contractu a
versare agli altri tre coeredi conguagli proporzionali alla rispettiva
misura di partecipazione alla comunione.
Nella divisione, tuttavia, i condividenti potrebbero espressamente
rinviare ai successivi atti
divisionali tra loro (riguardanti gli immobili e quant’altro caduto in
successione) la determinazione sia dell’esatto conguaglio eventualmente
spettante ai coeredi non assegnatari della quota sociale, sia dei modi di
liquidazione.
In ogni caso, se, all’esito di tali successive divisioni, un conguaglio
risulterà effettivamente loro dovuto, il suo ammontare sarà assoggettato
alla sola imposta di bollo pari allo 0,14% dell’importo e alla tassa di
registro in misura fissa di € 168,00, essendo questo il regime impositivo
indiretto degli atti di cessione di quote sociali (come si ricorderà – v.
Sediva news del 22/06/2007 – il conguaglio divisionale sconta le imposte
previste in ordine alle cessioni dei cespiti cui il conguaglio si
riferisce), mentre è comunque dovuta sull’intero valore della quota
espresso nella divisione l’imposta divisionale pari all’1%.
Infine, ed è questo naturalmente il profilo saliente dell’intera vicenda,
l’efficacia – ipso iure retroattiva – della divisione, rendendo assegnatari
della quota i due farmacisti (ciascuno per la metà, come ipotizzato) sin
dalla data di apertura della successione, ne estrometterà dalla data stessa
gli altri tre coeredi, impedendo loro – addirittura in limine – di
assumere una qualunque partecipazione nella quota e/o nella società e/o
nella farmacia.
In conclusione, una soluzione come quella che abbiamo cercato di
illustrare, non è particolarmente complicata da realizzare, specie quando
la società di persone sia composta interamente da familiari che abbiano,
magari da tempo, concordemente delineato il punto d’arrivo del percorso
sociale o comunque siano in grado di definirlo – con il consenso di tutti –
in quei tempi così brevi di cui si è parlato.
E però, può rivelarsi percorribile anche quando tra i soci vi sia
estraneità, ma in tal caso – salvo anche qui l’accordo con il socio
superstite – è necessario che una soluzione del genere si riveli
compatibile con lo statuto sociale, con il quale in definitiva – e a
maggior ragione in una società di persone – capita spesso di doversi
confrontare.
(g.bacigalupo)
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