Sediva News del 30 aprile 2007

Il lavoratore pluri part time

A carico del lavoratore part-time che abbia rapporti con più datori di
lavoro permane il divieto di superare, cumulandoli tra loro, l’orario
massimo settimanale previsto per la propria categoria.

Questo principio è stato recentemente ribadito dal Ministero del Lavoro in
risposta ad uno specifico interpello sull’argomento, ed è del resto
perfettamente in linea con quanto già affermato dal Dicastero in una
circolare di un paio di anni fa, laddove, in particolare, è stato precisato
che grava sul lavoratore l’onere di comunicare ai propri datori di lavoro,
quando appunto i rapporti siano plurimi, “l’ammontare delle ore in cui (il
lavoratore: ndr) può prestare la propria attività nel rispetto dei limiti
indicati, e fornire ogni altra informazione utile in tal senso”.

Nella stessa circolare, inoltre, il Ministero aveva ribadito l’inesistenza
nel nostro ordinamento di una norma che vieti la contemporanea titolarità
di più rapporti di lavoro, purchè non incompatibili tra loro e fermo il
rispetto dei limiti temporali appena ricordati.

Anche in questa fattispecie di più rapporti lavorativi part-time, quindi, è
il vigente d.lgs. n. 66 del 2003 (uno dei segmenti della Riforma-Biagi,
anche se destinato, come gli altri segmenti, ad una prossima riforma
della..riforma) a determinare i limiti massimi di ore settimanali per
ciascuna categoria professionale, e ad affermare l’irrinunciabilità (una
volta di più) e l’”impagabilità” (per la prima volta) del riposo
settimanale e/o delle ferie.

Si tratta di un complesso di norme, del resto, che mirano dichiaratamente,
al pari di altre contenute nella stessa Riforma-Biagi, a soddisfare la
“primaria esigenza di tutela della salute e sicurezza del lavoratore”,
garantita, per la stessa Cassazione, addirittura dall’art. 41 della
Costituzione, secondo cui, è vero che “l’iniziativa economica privata è
libera”, ma essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in
modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Insomma, in Cina (tanto per fare un esempio) si può anche lavorare 12 ore
al giorno, e/o 60 ore settimanali, e/o 365 giorni l’anno, mentre da noi –
come sappiamo – tutto questo non è lecito, neppure ove lo consenta il
lavoratore.

(gio.bacigalupo)

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