Questioni in tema di impresa familiare – QUESITO

Gradirei sapere quali requisiti devono avere i familiari di un farmacista
che intenda istituire un’impresa familiare e, in particolare, se i
familiari debbano, per obbligo di legge, essere anch’essi farmacisti, o se
invece è sufficiente la maggiore età.

Giova preliminarmente chiarire che, dal punto di vista civilistico,
l’insorgere di un’impresa familiare discende dalla mera sussistenza – nel
concreto – di tutti i suoi presupposti di fatto, indipendentemente
dunque dalla formale redazione di un atto notarile, talchè quest’ultimo ha
in realtà natura soltanto “dichiarativa”, e non “costitutiva” (appunto
perché il venir in vita dell’i.f. non dipende affatto dal famoso
rogito).
Insomma, e’ il comportamento delle parti (il familiare che lavora e il
titolare dell’impresa che se ne avvale) che rileva, non una qualunque loro
espressione di volontà contrattuale, come è vero che l’i.f., non è certo
un contratto ma semplice situazione fattuale, pur se ad essa il codice
civile attribuisce grandissimo rilievo, specie sotto il profilo delle
conseguenze.
E’ invece la legge fiscale a pretendere, come ben sappiamo, la
formalizzazione di un atto notarile (che, per di più, produce effetti
tributari soltanto a decorrere dal I gennaio dell’anno successivo alla sua
redazione), per evitare evidentemente elusive distribuzioni di utili
nell’ambito della compagine familiare.
E però, al collaboratore neppure la legge fiscale richiede una laurea, o
un diploma, o un qualsivoglia titolo di studio, essendo qui in principio
sufficiente che egli presti attività lavorativa (nella o per l’impresa)
nel quadro – diciamo – di una precisa “scelta di vita”, nel senso che, in
tanto le sue prestazioni potranno configurare un autentico e valido
rapporto di i.f. con il titolare, in quanto – anche per l’art. 230 bis del
cod.civ. – egli svolga tale attività come occupazione prioritaria e
centrale della sua esistenza.
Di qui, da un lato, i prescritti requisiti della “continuità” e della
“prevalenza” che – sia per il codice che per la norma tributaria – devono
caratterizzare le prestazioni lavorative del familiare; e, dall’altro, la
condizione – anch’essa imprescindibile – che il titolare e il familiare
non abbiano (anche nel mero atteggiarsi del rapporto) diversamente
disciplinato il lavoro di quest’ultimo nella o per l’impresa,
organizzandolo, ad esempio, come lavoro subordinato, o come associazione
in partecipazione con apporto lavorativo, o come contratto di
collaborazione coordinata e continuativa, o simili.
Quando, in conclusione, questi presupposti ricorrano, il familiare, che sia
maggiore d’età e parente entro il terzo grado o affine entro il secondo
rispetto al titolare , può legittimamente ritenersi davvero inquadrato in
un’impresa familiare, ferma la necessità che, per la sua efficacia sul
piano tributario, venga anche stipulato quell’atto dichiarativo di cui si
è detto.
Ma i suoi titoli di studio, quali che siano, potranno incidere soltanto
sulla misura della partecipazioni agli utili (e agli incrementi aziendali),
che discende infatti – precisa ancora la norma (“in proporzione”, aggiunge
l’art. 230 bis) – dalla “quantità e qualità del lavoro prestato”.
Quello dell’impresa familiare, in ogni caso, è un tema sempre molto
stimolante quanto di estremo interesse per le farmacie, tenuto conto del
grande utilizzo nel settore di questo modulo organizzativo (dell’impresa e
della famiglia): e, pertanto, avremo certo modo e tempo di discorrerne
ancora.

La SEDIVA e lo Studio Bacigalupo Lucidi prestano assistenza contabile, commerciale e legale alle farmacie italiane da oltre 50 anni!